AGIPRESS – Il sistema alimentare globale è intrinsecamente illogico. Utilizza il 40% della superficie terrestre libera da ghiacci, è la principale causa di perdita di biodiversità, è responsabile del 70% del consumo di acqua dolce e di oltre un quarto delle emissioni di gas serra. Ciononostante, quasi un terzo della popolazione mondiale non ha cibo a sufficienza. In occasione della Giornata Mondiale dell’Alimentazione del 16 ottobre, il WWF, nell’ambito della sua campagna Our Future, torna a richiedere alle istituzioni maggior cura del sistema alimentare e con esso delle risorse naturali e degli ecosistemi che sfrutta, riportando l’attenzione sui risultati della perdita di biodiversità analizzati nel Living Planet Report 2024 pubblicato a livello globale la scorsa settimana.
Troppo spesso il cibo che consumiamo, anche in Italia, dal pollo al pesce, fino ai prodotti contenenti olio di palma, caffè e cioccolato, ha legami diretti con la distruzione di alcuni dei nostri ecosistemi più preziosi. L’Amazzonia e altre foreste pluviali nel mondo, dimora di alcune delle specie più iconiche, vengono rase al suolo per bonificare il terreno, che viene poi utilizzato per allevare bestiame o per colture e piantagioni. Il WWF segnala che quasi il 90% della deforestazione, soprattutto nelle zone tropicali e subtropicali ricche di biodiversità, è causata dai nostri consumi. È indispensabile porre fine a tutto questo.
L’Unione europea è il secondo maggiore “importatore” di deforestazione tropicale al mondo dopo la Cina. Tra i paesi dell’UE, l’Italia è il secondo maggiore consumatore di materie prime a rischio di distruzione di natura, essendo responsabile della deforestazione di quasi 36.000 ettari all’anno. Soia, olio di palma e carne bovina sono state le materie prime importate in Italia con associata la maggiore deforestazione tropicale. Ogni italiano con i propri consumi alimentari è responsabile della deforestazione di 6 metri quadrati l’anno.
Per ridurre l’impatto dei consumi dei cittadini italiani ed europei sulle foreste, l’UE ha approvato nel 2023, l’EUDR, il Regolamento europeo “anti-deforestazione” che prevede che, dal 30 dicembre di quest’anno, 7 materie prime (soia, olio di palma, carne bovina, caffè, prodotti legnosi, cacao, gomma) e tutti i loro derivati potranno essere introdotti sul mercato europeo solamente se le aziende importatrici potranno dimostrare che i prodotti non hanno causato deforestazione, ad esempio tracciando il luogo di produzione e tutte le fasi della catena di approvvigionamento.
Lo scorso 2 ottobre, però, la Commissione europea ha proposto di posticipare di dodici mesi, quindi al 30 dicembre 2025, l’entrata in vigore dell’EUDR. Proprio in questi giorni gli Stati Membri dell’Ue dovrebbero decidere se accettare questa proposta. Questa decisione della Commissione europea dà seguito alle richieste di vari Stati membri, tra cui l’Italia, e alle pressioni dal mondo delle aziende che ritengono ci siano criticità irrisolte che non consentono di operare fin da subito in conformità alla documentazione tecnica richiesta. “Se il Parlamento e il Consiglio dell’UE approveranno la proposta, le imprese avranno un anno in più per prepararsi ma ci sarà anche un anno in più per distruggere le foreste del Pianeta per fare spazio a coltivazioni, piantagioni e allevamenti” – afferma Eva Alessi, Responsabile Sostenibilità del WWF Italia -. Rinviare di un ulteriore anno significa che potremmo perdere (se il trend rimanesse uguale a quello degli ultimi anni) altri 3 milioni di ettari, ossia 8 campi da calcio di foresta tropicale vergine ogni minuto”.
Il WWF sottolinea che implementare l’EUDR non è solo una questione di legislazione: è un impegno etico per proteggere il nostro Pianeta. Il rinvio manda un messaggio sbagliato ai cittadini, sia all’interno sia all’esterno dell’UE, suggerendo come la creazione di un mercato delle materie prime libero dalla deforestazione possa aspettare. Le foreste del mondo non possono permettersi un altro anno per essere tutelate.
La soia è diventata un ingrediente chiave nella dieta degli animali d’allevamento, alimentando un’industria intensiva che consuma enormi quantità di questo legume per produrre carne, latticini e uova. La maggior parte della soia è collegata alla deforestazione e alla conversione di savane e praterie in Sud America, come il Cerrado, l’ecosistema di savana con la maggiore biodiversità al mondo che ospita specie iconiche come il giaguaro, il più grande felino del continente americano e il terzo carnivoro più grande del pianeta di cui in natura rimangono solo 170.000 esemplari e ad oggi sopravvive nel 50% di quello che era il suo territorio naturale. Pochi sanno, mentre mangiano il petto di pollo o una braciola di maiale o del salmone d’allevamento, che quel cibo è arrivato nel nostro piatto grazie all’abbattimento di foreste e alla perdita di specie uniche. Oggi, in nessun altro luogo al mondo, la perdita e il degrado di foreste e di altri ecosistemi prioritari causati dall’agricoltura industrializzata è più evidente che nel sud America. Anche, il caffè e il cioccolatino a fine pasto potrebbero essere stati prodotti a spese delle foreste del Pianeta. “Se a livello mondiale riusciremo ad andare in questa direzione – conclude Alessi -. i risultati saranno un sistema alimentare più sostenibile e foreste vitali capaci di contribuire alla lotta al cambiamento climatico, alla conservazione della biodiversità, garantendo la sicurezza alimentare”.