DIRETTORE RESPONSABILE FRANCESCO CARRASSI

15 Aprile 2025

TUMORI, STORIE DI HALA E JANA: DALLA PALESTINA IN ITALIA

AGIPRESS – ROMA – Nel reparto di Oncologia pediatrica del Policlinico di Sant’Orsola Irccs di Bologna c’è un frammento di Palestina. Tra i tanti piccoli pazienti che l’ospedale accoglie, ci sono anche due bambine palestinesi arrivate in fuga dalla guerra con Israele. Si chiamano Hala e Jana, hanno 14 e 9 anni, e oggi in Italia stanno affrontando la loro battaglia più dura: quella per la vita.
Hala è affetta da leucemia, Jana da un tumore solido. Sono arrivate in Italia grazie all’intervento dell’Organizzazione mondiale della sanità, accompagnate solo dalle loro madri. Hala è giunta anche con il fratellino di sei anni, l’unico altro familiare a essere riuscito a espatriare, nonostante fosse privo di visto. Grazie a un volo dell’Esercito italiano, le due donne con i bambini sono atterrate a Milano, dove hanno ottenuto un visto temporaneo di 90 giorni. Da lì, la Croce Rossa Italiana ha curato il trasferimento a Bologna, dove ora le famiglie sono seguite dall’Associazione Genitori Ematologia Oncologia Pediatrica (Ageop). La richiesta di espatrio era stata accolta dall’Oms quasi un anno fa. “Sono passati 12 mesi, troppi – racconta all’agenzia Dire la direttrice generale di Ageop Ricerca, Francesca Testoni- da quando queste bambine sono riuscite finalmente a lasciare il proprio Paese. Dallo scorso 7 ottobre, anche i pazienti oncologici già in cura negli ospedali di Gerusalemme o Tel Aviv non hanno più accesso alle terapie, ai controlli né ai farmaci. Le due bambine sono state poste in quarantena, poiché provenienti da un campo profughi, poi hanno cominciato gli accertamenti e in seguito hanno iniziato cure di supporto per gravi carenze alimentari e dolori ossei causati dalla malnutrizione. Oggi sono in regime di day hospital, le accompagniamo ogni mattina in ospedale e il pomeriggio tornano in una delle 4 case di accoglienza di Ageop messe a disposizione gratuitamente dall’Associazione. In questa fase stanno facendo tutti gli esami per rivalutare la malattia: non hanno una cartella clinica, sono arrivate senza documenti, bisogna rifare tutto da capo, ovvero esami del sangue, ago aspirato midollare, risonanze, Pet”. L’accoglienza offerta da Ageop va ben oltre le cure mediche. “Abbiamo fornito vestiti e beni di prima necessità. Sono arrivate con gli abiti che indossavano alla partenza- aggiunge Testoni – niente cambi, niente biancheria, nemmeno una borsa. Gli è stato tolto tutto, persino i fermagli per capelli. Anche le madri e il fratellino di Hala necessitano di cure dentistiche: una mamma ha perso un dente a causa di un ascesso mai curato. Ora stanno ricevendo assistenza da un nostro dentista convenzionato. Inoltre, abbiamo incaricato un legale esperto in diritto dell’immigrazione di seguire l’iter per la richiesta di asilo. Pochi giorni prima dell’arrivo la Protezione Civile e la Regione ci hanno informati che sarebbero giunti a Bologna tre nuclei familiari. Si è parlato di una triangolazione tra ministero, Oms e Israele. Dovevano arrivare tre bambini, ma una madre ha rinunciato al volo perché non se l’è sentita di lasciare gli altri figli”.
Testoni sottolinea la differenza tra l’approccio italiano e quello di altri Paesi europei. “Dopo il decreto Salvini, la protezione umanitaria non esiste più. Anche il visto per cure mediche è concesso a un solo genitore accompagnatore. In caso di trapianto, ottenere l’ingresso di altri familiari è un’impresa. In Italia non esiste una legge che consenta l’accoglienza di chi fugge da guerre o genocidi tramite le ambasciate o i consolati. Si può chiedere asilo solo se si è già sul territorio italiano”. E rincara: “Quando si parla di immigrazione clandestina, ci si dovrebbe chiedere: come possono salvarsi queste persone? Devono affrontare il deserto, i barconi, le rotte balcaniche? In Palestina oggi si vive sotto le tende, senza acqua, cibo, elettricità, medicine. Sotto le bombe da un lato, e vessati da Hamas dall’altro. La popolazione civile è schiacciata. E far aspettare un anno una bambina con una malattia oncologica è una crudeltà. In Europa abbiamo approvato un Piano per contrastare le disuguaglianze nell’accesso alle cure pediatriche oncologiche. Eppure, qui c’è un imbuto che non riusciamo a superare”.
Altri Paesi si sono mossi diversamente. “Il gruppo di persone evacuate era numeroso. La maggior parte è stata accolta dalla Romania, altri sono andati in Norvegia, e una famiglia intera composta da madre, padre e quattro figli è arrivata in Germania”. Ma la battaglia per una vita in salute non è ancora finita. “Hala, a causa di una recidiva, potrebbe dover affrontare un secondo trapianto. Il primo lo ha fatto a Tel Aviv, con midollo donato dal padre. Se ora la bambina peggiora – riflette Testoni – si ripropone lo stesso problema: come far arrivare il donatore?”. Da qui, il suo appello: “Serve un corridoio umanitario dedicato a chi fugge dalle guerre. Non si può costringere un genitore a scegliere quale figlio salvare. Il ricongiungimento familiare è previsto solo per coniugi e figli minorenni e solo dopo il riconoscimento dello status di rifugiato. Se una persona ha un figlio di 18 o 19 anni, o è vedova, resta da sola: è inaccettabile. Ci sono trattati internazionali, convenzioni, carte sottoscritte, tutte con al centro il supremo interesse del minore. Ma sappiamo che, nei fatti, non viene garantito. Si ha sempre paura dell’invasione. Ma per i bambini malati di cancro, un’eccezione dovrebbe essere non solo possibile, ma doverosa. Nessun genitore dovrebbe trovarsi a decidere chi salvare”.
Ageop sta facendo la sua parte, come già accaduto con i piccoli pazienti ucraini. “Li accogliamo e li assistiamo fino a quando non avranno ottenuto l’asilo, una casa e un lavoro. Nel frattempo, vivono nelle nostre strutture, vestiti e sostenuti in tutto. Va ricordato che Ageop accoglie gratuitamente anche tutte le famiglie italiane che arrivano a Bologna per le cure oncologiche dei loro figli. Queste mamme con i loro figli hanno lasciato la Palestina senza nulla: senza telefoni, senza cibo, senza nemmeno un succo di frutta per i bambini. Una delle madri mi ha raccontato che, appena salite sull’aereo dell’Esercito italiano, dove hanno ricevuto acqua e cibo, ha sentito la mano di Allah sulla testa. Nei primi giorni in ospedale, il fratellino di Hala si nascondeva dietro l’armadio appena sentiva un rumore. Sono arrivati in condizioni disperate”. Oggi Ageop accoglie 18 nuclei familiari a Bologna. “Siamo sempre pieni. Per l’emergenza abbiamo chiesto anche l’aiuto dei padri dehoniani. Abbiamo convenzioni attive con Bosnia e Serbia, e accogliamo pazienti anche dal Kosovo e Montenegro, dove i casi di tumore sono in aumento per l’uranio impoverito. Ora stiamo ricevendo richieste anche dalla Moldavia, che ha perso l’accesso alle cure oncologiche pediatriche a causa della guerra in Ucraina. E con il Sant’Orsola abbiamo un accordo quadro che ci permette di velocizzare le procedure”. Ma c’è un altro tema che sta a cuore alla direttrice generale di Ageop Ricerca: il riconoscimento dell’età pediatrica. “In Italia non c’è una norma chiara. Alcuni ospedali considerano pediatrici i pazienti fino a 12 anni, altri fino a 14, altri ancora fino a 16 o 18. Questo rende difficilissimo difendere i diritti dei minori. I bambini malati devono essere curati da strutture pediatriche, con medici specializzati in oncologiapediatrica. E invece, in alcune regioni, soprattutto al Sud, si sta tornando indietro. In Sardegna, ad esempio, non esiste nemmeno una rianimazione pediatrica. Serve una legge. Come in Francia, Spagna o Germania, anche in Italia deve essere riconosciuta l’età pediatrica e deve essere normata. Senza questo- conclude- i diritti dei bambini malati restano lettera morta. La tutela dei minori oggi in Italia non esiste. È tempo di cambiare, davvero”.

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