Lima (Perù) “ Una Scuola per riacquistare consapevolezza di se stessi, fiducia e autostima. La storia di Edwin Medina che da piccolo scopre sulla sua pelle il dramma dei bambini lavoratori.
AGIPRESS – FIRENZE – Secondo l’Organizzazione Internazionale del Lavoro (ILO) sono ancora 215 milioni i minori sfruttati al mondo e la metà di questi è coinvolta nelle forme peggiori come lo sfruttamento sessuale e il traffico illegale. Una piaga sociale importante che non tocca solo Paesi in via di sviluppo, ma anche l’Europa. In Italia, ad esempio, la situazione è preoccupante: secondo l’ISTAT, 144 mila bambini tra i 7 e i 14 anni lavorano, e di questi 31.500 sono da considerarsi veri e propri casi di sfruttamento. Per l’Ires “ CGIL la cifra, invece, è di circa 500 mila bambini.
In occasione della Giornata Mondiale contro lo sfruttamento del lavoro minorile che si celebra il 12 giugno, Cesvi ricorda la campagna internazionale “Stop Child Labour – School is the best place to work” (www.stoplavorominorile.it), promossa insieme al network europeo Alliance2015 e con il sostegno della Commissione Europea. Con questa campagna, il Cesvi intende richiamare l’attenzione dei governi, delle imprese e delle famiglie verso le vittime dello sfruttamento proponendo l’educazione come soluzione principale al problema: perché “la scuola è il miglior posto in cui lavorare”.
LA STORIA
Nato a Nueva Esperanza, uno dei quartieri più poveri di Lima, Edwin Medina scopre fin da piccolo sulla sua pelle il dramma dei bambini lavoratori. Nueva Esperanza è una città socialmente ed economicamente difficile, in cui molti bambini sono costretti a contribuire all’economia familiare, lavorando di notte e di giorno e diventando spesso oggetto di violenze e abusi sessuali. In questo clima, ai bambini viene negato il diritto all’istruzione. Talvolta sono gli stessi insegnanti a rifiutare gli alunni più disagiati perché ritardatari o svogliati durante la lezione.
Ormai grande, nel 2004, Edwin decide di aiutare i bambini del suo quartiere creando un’associazione che con attività ludico-ricreative li allontana dalla strada. Nel 2007, questo metodo pedagogico porta alla creazione di una piccola scuola, riconosciuta poi dal Ministero dell’Educazione come scuola pubblica materna ed elementare.
Qui i bambini, oltre ad accedere all’istruzione di base e a laboratori creativi, di cucina e di riciclaggio, ritrovano la concentrazione e la consapevolezza di se stessi, riacquistando gradualmente fiducia e autostima. Oggi la scuola di San Josè Obrero, coinvolgendo 150 famiglie, 12 insegnanti e molti volontari, offre un’istruzione di qualità a più di 400 bambini, tra i 4 e i 10 anni, molti dei quali sono piccoli lavoratori.
In ogni aula, oltre alle materie scolastiche, vengono affrontate anche tematiche legate all’imprenditoria, al microcredito, alla responsabilità degli alunni nella gestione della scuola e all’importanza dell’attività del singolo nella comunità di appartenenza. Tutte le aule hanno un piccolo orto gestito dagli stessi bambini: ogni classe all’inizio dell’anno scolastico ottiene un piccolo credito per comprare le sementi e tutto il necessario per avviare l’orto o per acquistare le materie prime necessarie a produrre biscotti o oggetti di bigiotteria, che poi vengono venduti nel corso dell’anno nel villaggio. Il credito ricevuto viene restituito a fine anno e i profitti sono divisi tra i bambini.
La San Josè Obrero non è quindi una semplice scuola ma un vero e proprio istituto produttivo, in cui il lavoro diventa un’esperienza di crescita e di maturazione e non più solo una forma di sfruttamento del minore.
Agipress