Gli interventi degli esperti dell’Osservatorio di Psicologia nei Media, Girolamo Lo Verso, Paolo Migone, Mario Rossi Monti e Chiara Tarantino
AGIPRESS – FIRENZE – Il DSM (The Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders), il noto manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali più utilizzato da psicologi, psicoterapeuti e medici psichiatri nel mondo, è giunto alla quinta revisione. Non poche le controversie che hanno accompagnato le modifiche introdotte alla versione precedente, il DSM-IV-TR, fino alla stesura definitiva del DSM-5.
L’American Psychiatric Association (APA) ha dato avvio alle ricerche, per elaborare la nuova versione del manuale fin dal 1999 e ha reso disponibile on line, nel maggio 2011, per un mese e mezzo, una bozza del manuale revisionato con l’intento di ricevere commenti e suggerimenti. La versione definitiva del DSM-5 è stata pubblicata negli Stati Uniti nel maggio 2013 e nel 2014 è prevista la pubblicazione della traduzione italiana, ad opera dei nostri esperti, impegnati nelle singole discipline interessate.
“Polemiche e perplessità sussistono ancor oggi “ spiega l’Osservatorio di Psicologia nei Media (OPM) – accompagnate anche da petizioni e dalla richiesta di riconsiderare la revisione di alcune modifiche introdotte. L’interesse che il tema del nuovo DSM assume è giustificato dall’importanza internazionale che il manuale riveste. Il DSM è considerato fonte di primaria influenza sul trattamento sanitario dei disturbi mentali ed ad esso si ricorre per delineare ciò che è da considerarsi patologico distinto dal non patologico. Ad ogni cambiamento delle voci citate nel DSM corrispondono conseguenze di ordine sociale ma anche di ordine economico. La cura di una malattia comporta investimenti: pensiamo solo alle visite mediche, agli esami clinici, ai test psicologici che vengono prima realizzati e poi somministrati, ai farmaci previsti per la cura di un disturbo, ma pensiamo anche alla definizione degli obblighi sociali da assumersi verso i portatori di disabilità , alle azioni relative al dovuto sostegno scolastico, ai costi dell’assenteismo lavorativo giustificato dal malessere subito”.
Pubblichiamo di seguito alcuni estratti dei pareri che gli esperti dell’Osservatorio di Psicologia nei Media, Girolamo Lo Verso, Paolo Migone, Mario Rossi Monti e Chiara Tarantino hanno espresso sul DSM-5.
L’intero dossier è disponibile al seguente link: http://www.osservatoriopsicologia.com/2013/09/21/dossier-riflessioni-sul-dsm-5/
GIROLAMO LO VERSO:
Il D.S.M. nasce, a mio avviso, dall’abile uso di un equivoco. Ovvero, viene definito un manuale statistico. In realtà , all’impostazione statistica viene dato il ruolo di riferimento clinico e scientifico della diagnosi e, quindi, della terapia. Tendenzialmente farmacologica, visti gli enormi interessi industriali delle multinazionali che stanno dietro a questa operazione. Presupposti di base sono l’utilità di avere un riferimento definitivo internazionalmente valido ed unitario e di poter “oggettivare” la malattia mentale. Ciò viene ottenuto attraverso un’osservazione e “conta” dei sintomi comportamentali visibili o no. Qui spunta un primo, irrisolto, problema. Il sintomo, in realtà , è polisemico e può assumere un significato ben diverso a seconda delle persone, delle famiglie, delle culture. In realtà , diviene psicopatologia in relazione al modo di viverlo da parte di che ne è portatore e, per certi aspetti, della cultura in cui è immerso. Nei nostri studi sulla psiche mafiosa è, ad esempio, emerso che il mafioso è “una non persona che uccide una non persona” (Coppola). Il mafioso non ha interessi per la categoria del piacere in ogni sua forma, ma solo in quella del potere. Uccide una persona non sapendo che è, con un’assoluta indifferenza emotiva. Non rivive neanche nel sogno momenti emotivi a questo legati. Viene cresciuto dalla famiglia trans generazionale come una sorta di robot. Ci sono sintomi per dieci diagnosi gravi. Tuttavia, il mafioso nel suo habitat è perfettamente sano. Siamo noi che lo pensiamo “folle” mentre lui espande il suo potere e crea follia nel mondo. Insomma, è insuperata la necessità di creare un collegamento clinico e scientificamente credibile tra sintomo, simbolo e significato. Ciò diventa anche necessario a) per ridare al paziente la sua centralità di persona che patisce; b) per ricordare la centralità di una competenza e preparazione relazionale nel lavoro di cura della sofferenza o patologia psichica; c) per dare alla psicopatologia la possibilità di una lettura e cura ampia ed integrata che potenzialmente possa comprendere fatti psichici, attenzioni socio-culturali e legate alle dinamiche individuo-famiglia, fatti corporei (legati all’interezza del bios e non solo alla clinica); d) per potere costruire progetti terapeutici personalizzati che comprendano ed integrino, ove necessario, trattamenti di vario tipo, tra loro connessi, psicoterapia individuale, familiare, di gruppo, uso di farmaci, ecc. Il D.S.M. non sembra favorire, quindi, un reale lavoro di cura, ma solo accentuare un riduttivismo farmaceutico sempre più diffuso e sempre scientificamente e clinicamente più improbabile ed inefficiente, ma molto ideologico. Ricordo che tutta la ricerca empirica assegna una grande efficacia alla psicoterapia (in varie forme, psicodinamica, sistemica, cognitiva, individuale e di gruppo) e nei casi più gravi ai trattamenti con i farmaci.
PAOLO MIGONE:
Elenco quelle che secondo Allen Frances (2012d) sono le undici diagnosi del DSM-5 che creeranno maggiori danni:
1) Disturbo di disregolazione dirompente dell’umore: gli scatti di rabbia diventeranno un disturbo mentale, e coloro che ne patiranno di più saranno i bambini ai quali verranno dati dei farmaci. Già negli anni scorsi, come si è detto, avevamo assistito a tre “mode”: il Disturbo da Deficit di Attenzione/Iperattività (ADHD) che era aumentato tre volte, l’autismo che era aumentato venti volte, e il disturbo bipolare infantile che era aumentato ben quaranta volte. Questa nuova diagnosi di disregolazione dirompente dell’umore può essere una quarta moda che ci accompagnerà nei prossimi anni.
2) Il normale lutto diventerà Depressione maggiore, facendo prendere farmaci inutili a tante persone che hanno perduto una persona amata e impoverendo i significati della loro vita.
3) Le normali dimenticanze e debolezze cognitive della vecchiaia verranno diagnosticate come Disturbo neurocognitivo minore, creando falsi allarmi e sofferenze in persone che non svilupperanno mai una demenza vera e propria, e anche in quelli che la svilupperanno dato che non vi è terapia per questo “disturbo”.
4) La diagnosi di Disturbo da Deficit di Attenzione/Iperattività (ADHD) dell’adulto subirà una ulteriore ascesa, con aumento dell’abuso di stimolanti nel mercato parallelo delle droghe da strada.
5) A causa dell’abbassamento della soglia dei criteri del Binge Eating Disorder (Disturbo da alimentazione incontrollata), abbuffarsi di cibo dodici volte in tre mesi non sarà più segno di golosità o disponibilità di buon cibo, ma di malattia mentale.
6) Contrariamente a quanto si era pensato per il fatto che veniva introdotto il concetto di “spettro”, i diversi criteri diagnostici dell’autismo, per il modo con cui sono stati specificati, abbasseranno i tassi di questo disturbo nella popolazione (del 10% secondo la task force del DSM-5, o del 50% secondo altre fonti). Questo sarà un bene, ma c’è il rischio che vengano tolti a molti bambini gli insegnanti di supporto che nelle fasce deboli sono fondamentali (Frances, 2012b, 2012c).
7) Le persone che abusano per la prima volta di droghe verranno messe nella stessa categoria diagnostica dei tossicodipendenti di lunga data, che hanno diverse necessità , prognosi e uno stigma correlato.
8) L’introduzione del concetto di “dipendenze comportamentali” (le “nuove dipendenze”) potrà subdolamente favorire una cultura secondo la quale tutto quello che ci pace molto diventa un disturbo mentale; occorre stare in guardia dall’uso sconsiderato di diagnosi quali dipendenza da Internet o dal sesso, nonché dai costosi programmi di trattamento che verranno proposti per speculare su questi nuovi “pazienti”.
9) Il confine tra il Disturbo d’ansia generalizzato e la normale ansia quotidiana, che è già poco chiaro, lo sarà ancor meno, col risultato che vi saranno molti nuovi “pazienti” ansiosi i quali prenderanno i farmaci ansiolitici che, come è noto, creano dipendenza e assuefazione, e le case farmaceutiche ci lucreranno perché molti di questi pazienti li assumeranno per tutta la vita.
10) L’abuso della diagnosi di Disturbo Post-Traumatico da Stress (PTSD) che già avviene in psichiatria forense aumenterà ancora di più, con effetti facilmente immaginabili.
11) Successivamente Frances (2012e) ha aggiunto una undicesima proposta del DSM-5 che a suo parere è totalmente ingiustificata e che etichetterà molte persone come malate mentali: i Disturbi somatoformi del DSM-IV sono stati rinominati “Disturbi da sintomi somatici” (eliminando le diagnosi di Disturbo da somatizzazione, Ipocondria, Disturbo algico e Disturbo somatoforme indifferenziato), e basterà che una persona con una malattia fisica sia seriamente preoccupata (si pensi a chi è affetto da cancro o altra malattia terminale) per ricadere in questa diagnosi.
Più in generale, si può dire che una delle conseguenze negative del DSM-5 sarà che, a causa dell’abbassamento delle soglie di molte diagnosi, le risorse per il trattamento dei pazienti gravi, che sono già scarse, lo saranno ancora di più perché verranno dirottate per la cura di quella moltitudine di “pazienti” lievi, i quali saranno anche danneggiati dalle nuove diagnosi con cui verranno etichettati.
Il DSM-5, conclude Frances (2012d), per i suoi aspetti iatrogeni indurrà molti medici a violare l’importante giuramento ippocratico cui sono tenuti a ubbidire: primum non nocere (“per prima cosa, non fare del male”).
MARIO ROSSI MONTI E CHIARA TARANTINO:
La prima grande novità di ordine generale riguarda la rimozione del sistema assiale che caratterizzava le edizioni successive alla terza (1980) e la conseguente combinazione dei primi tre assi con le nozioni separate di fattori psicosociali e ambientali e valutazione del funzionamento globale del paziente, con particolare attenzione alla valutazione delle disabilità . Con questa modifica il DSM, per la prima volta in questa quinta edizione, rievoca la struttura di un altro importantissimo manuale clinico: l’ICD (International Classification of Diseases), facilitando e favorendo cosଠla comunicazione tra esperti che utilizzano codici differenti. Ogni singola diagnosi viene cosଠa contenere al suo interno tutte le diverse nozioni e informazioni precedentemente spalmate lungo i diversi assi.
Il nuovo manuale è suddiviso in tre sezioni:
- La prima contiene un’introduzione al manuale e le informazioni su come utilizzarlo
- La seconda comprende le diagnosi categoriali
- La terza è dedicata alle condizioni patologiche che richiedono ulteriori studi
Nella sezione 2 sono presenti 20 differenti capitoli, sistematizzati secondo un ordine di affinità di sintomi e vulnerabilità dei vari disturbi. Le malattie mentali si succedono quindi in modo da apparire collegate l’una all’altra (anche questo è maggiormente in linea con l’ICD-11).
Un recente contributo di Malhi (2013) si presenta con un titolo suggestivo: DSM-5: il buono, il cattivo, il brutto. Cosa c’è di buono nel DSM-5? Oltre all’enorme sforzo di carattere organizzativo e al coinvolgimento di esperti di discipline molto diverse, il DSM-5 sottolinea l’importanza di fattori come il sesso e l’età nella manifestazione e nella evoluzione dei quadri clinici. I disturbi sono stati inoltre diversamente raggruppati in base agli ipotetici meccanismi che potrebbero legare l’un raggruppamento all’altro. Un ultimo elemento “buono” è rappresentato dalla maggiore attenzione alla componente dimensionale della diagnosi. Si tratta di verificare quanto sarà possibile tenere conto di queste variazioni nella pratica di tutti i giorni e quanto si riveleranno clinicamente utili. Cosa c’è di cattivo nel DSM-5? Il DSM-5 non corrisponde alle aspettative dei clinici. La maggior parte delle modifiche sono operazioni di cosmesi; l’intento di tenere conto nella diagnosi di marker neurobiologici o della patofisiologia del disturbo è rimasto lettera morta. In sostanza si deve prendere atto che la conoscenza che abbiamo dei disturbi mentali in termini neurobiologici rimane ampiamente incompleta. Cosa di brutto? La triste verità “ scrive Malhi “ è che per il prossimo futuro dovremo affidarci solo sulla descrizione del disturbo per definire le entità di malattia psichiatriche. Come facciamo del resto da più di un secolo. Non sarebbe allora il caso di recuperare quella tradizione di ricerca, inaugurata dalla Psicopatologia Generale di Karl Jaspers esattamente un secolo fa, che ha fatto della psicopatologia fenomenologica la chiave di volta per la conoscenza dei fenomeni psicopatologici quali si manifestano nella clinica?
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