Il piano paesaggistico della Regione Toscana visto dalla parte dei tecnici senza visioni di parte e contrapposizioni politiche ed economiche
AGIPRESS – FIRENZE – “No a contrapposizioni ideologiche, il territorio non si salvaguardia con visioni di parte e polemiche politiche ed economiche”. Per Maria Teresa Fagioli, presidente dell’Ordine dei Geologi, la questione del Pit, il piano paesaggistico della Regione Toscana, è una questione seria. “È giunto il momento di comprendere che la programmazione territoriale è qualcosa di più di una mera elencazione di regole, che la sostenibilità delle scelte non può basarsi sulla tecnica del ‘proviamoci e vediamo se và ‘. L’acqua, il suolo, il sottosuolo, le coltivazioni, le popolazioni umane formano un insieme funzionale e culturale. E il ‘paesaggio’ ne è il risultato, piacevole o aberrante in funzione dell’equilibrio, o del conflitto, raggiunti”.
Sଠai vigneti, ma in maniera sostenibile. L’attenzione del presidente dei Geologi si sofferma in particolare sui vigneti, risorsa agricola, ma anche turistica per la Toscana. «È abbastanza ovvio che con la coltivazione viticola intensiva su vaste aree, resa possibile dalla meccanizzazione, il paesaggio non potrà non cambiare per intere porzioni di territorio, prima ritenute marginali», commenta Fagioli. «Non è però affatto detto che tale evoluzione, preziosa per i suoi risvolti occupazionali ed economici, debba necessariamente peggiorarlo, il paesaggio. Rimodellare bene, in maniera sostenibile, tenendo conto anche degli effetti idrogeologici e paesaggistici costa sicuramente un po’ di più e ci vuole più impegno ma è senz’altro possibile».
Scelte per evitare speculazioni che provocano disastri e dissesti. Qui però la questione passa alla politica. «Restano interrogativi ai quali non i tecnici ma i politici devono rispondere: lo si vuole fare? Se ne è politicamente capaci?». Ecco la necessità di avere delle linee guida. «Se da un lato le “denominazioni di origine certificata-protetta” tutelano dalla concorrenza sleale degli etichettatori abusivi, dall’altra spingono a massimizzare la redditività concentrando in territori limitati l’interesse agroindustriale. Entro i sacri perimetri delle aree tutelate, ogni fazzoletto di terra non messo a coltura appare sprecato, inutile, intollerabile. Sono di conseguenza necessarie politiche preventive per evitare che la spinta speculativa tenda a far sottostimare i rischi di instabilità geotecnica delle superfici rimodellate».
I vigneti si fanno con i tecnici, geologo, agronomo, architetto. Dunque non è necessario ingessare un territorio, ma occorre che ognuno faccia bene il proprio mestiere. «Agronomo , geologo ed architetto paesaggista, ognuno per le proprie competenze, devono lavorare con una sinergia tanto maggiore, quanto più si intenda incrementare la produttività delle superfici agronomiche o porre a coltura nuove porzioni di territorio».
Fondamentale il geologo. Da qui il ruolo fondamentale del geologo per evitare quanto accaduto a Conegliano. «L’incremento della viticoltura intensiva, con il rimodellamento di vaste aree non può, ovviamente prescindere da una progettazione geologica, idrologica e geotecnica adeguatamente approfondite, pena un elevatissimo rischio di perdita degli investimenti effettuati». I conclusione, «I geologi sanno bene che la stabilità di materiali naturali, nella loro giacitura originale, è generalmente molto maggiore di quella dei materiali rimaneggiati, ovverosia movimentati per ottenere forme di versante adatte alle lavorazioni meccanizzate. E poi i cambiamenti climatici in atto, in particolare le “bombe d’acqua” aggravano ulteriormente il rischio nelle aree non adeguatamente sistemate».
Agipress