AGIPRESS – Tra vittorie emozionanti e premi criticati, la 95esima edizione degli Oscar diventa il benchmark per una nuova primavere hollywoodiana. Una serata degli oscar dal sapore più sobrio e contenuto – “Oscar Classic,” com’è stata chiamata dalle principali testate di oltreoceano – sarebbe servita come rimprovero non solo per il disastro dello scorso anno, ma come benchmark per un “ritorno alle basi” degli Oscar. Possiamo e faremo un’analisi dei premi effettivi, ma è difficile mettere in discussione uno spettacolo che ha praticamente fatto quello che avrebbe dovuto. Dopo anni di show creati ad hoc per rimpinguare le pagine dei giornali scandalistici, si ha finalmente un ritorno a un festival che mette al centro il reale protagonista della serata: il cinema.
Con il ritorno alla semplicità è stato possibile riportare l’attenzione su tutti i settori e gli ambiti che rendono un film un’opera d’arte. Best Editing è stato presentato su uno sfondo di due persone che lavorano su diverse macchine di editing – una vecchio stile, una più all’avanguardia. Per il Best Costume Design, hanno portato sul palco i costumi dei film nominati. La Best Cinematography ha presentato una breve lezione sull’uso del dolly da parte di Spike Lee e Ernest Dickerson e sull’uso di Orson Welles e Gregg Toland degli angoli bassi. Best Score è stato preceduto da una vivace routine orchestrale che mostra come la musica abbia il potere sottolineare o modificare il significato delle immagini.
Nella sua semplicità questa 95esima edizione ha marcato un punto importante nella storia della notte delle stelle, dopo anni di Oscar che sembravano scappare dalla forma d’arte che avrebbero dovuto onorare, e in particolare dopo che otto categorie erano state tagliate senza tante cerimonie dallo show dello scorso anno, vedere una certa attenzione data al lavoro reale che è alla base del filmmaking è stato commuovente.
Quando gli Oscar funzionano, funzionano perché i vincitori dicono o fanno qualcosa di memorabile. E la scorsa notte è stata carica di momenti emozionanti che resteranno negli annali. I discorsi di Ke Huy Quan e Jamie Lee Curtis hanno dato il via alla serata creando l’atmosfera giusta, esplicitando due variazioni emotive su ciò che un Oscar può significare per le persone. Quan aveva abbandonato la recitazione prima che arrivasse Everything Everywhere All at Once, quindi per lui era la conferma che ci fosse un posto per lui nell’industria. D’altra parte, Curtis è una leggenda che ha lavorato costantemente per decenni e fatto alcuni film celebri, ma è stata raramente candidata agli Oscar; per lei, questo non è stato solo un riconoscimento alla carriera, ma forse anche l’ammissione che anche i film con produzioni più contenute e meno mainstream contano nello sfarzoso panorama hollywoodiano. Entrambi i vincitori si sono commossi, e le loro lacrime sono state sincere. Quello che i loro discorsi hanno trasmesso è che gli Oscar sono una serata per l’industria cinematografica e uno spettacolo dell’industria cinematografica. E al suo meglio, non asseconda spettatori, ma piuttosto ci fa sentire come se stessimo origliando su un evento del settore.
Ci sono stati altri grandi momenti emozionanti tra i successivi vincitori, come il tributo di Ruth Carter a sua madre recentemente deceduta: “Chadwick, per favore prenditi cura della mamma.” E tutta la sala che canta “Happy Birthday” all’attore irlandese James Martin, star del cortometraggio An Irish Goodbye, una persona che quasi nessuno lଠaveva mai incontrato, ma che è stata accolta come un collega stimato.
E’ indubbio che continuerà la polemica su Everything Everywhere All at Once. È uno dei vantaggi collaterali di vincere il miglior film. Le discussioni sulla tua qualità di una pellicola ora diventano dibattiti eterni. Rimarcabile il discorso dei cosiddetti ˜’Daniels” su quanto strettamente lavorano con i loro collaboratori e il potere del collettivo. La natura anticonformista dei film di Daniels ci parla di un approccio libero ma organizzato basato sul dare-e-ricevere, sulla raccolta di idee da punti di vista diversi. Per quanto la scelta del vincitore per il miglior Film sia condivisibile o meno, questa vittoria ci ricorda che il cinema è l’unica forma d’arte collaborativa e che ogni aspetto della creazione di un film merita la stessa importanza. Un ritorno alle basi, un addio allo Star System (?) eccessivamente mistificato e che ha come unico espediente per far parlare di sé quello di dare scandalo. Ci auguriamo che quest’ultima edizione della serata degli Oscar dia inizio a un circolo virtuoso e una nuova stagione per Hollywood. AGIPRESS
di Laura Bacchiega