L’ex funzionario delle Nazioni Unite oggi a capo del Centro Internazionale sulla Sicurezza dello Sport.
AGIPRESS – All’avvio dei tanto discussi Mondiali di Calcio del Qatar 2022, pubblichiamo l’intervista al Dott. Massimiliano Montanari, ex funzionario delle Nazioni Unite, oggi a capo del Centro Internazionale sulla Sicurezza dello Sport.
Dott. Montanari, che Mondiale sarà ? Si è parlato tanto di questo Mondiale di calcio, più di ogni altro evento sportivo nella storia probabilmente. I detrattori hanno parlato di ˜sportwashing’, i sostenitori di un grande esercizio di ˜sport diplomazia’. Avendo lavorato dall’interno e osservato da vicino quanto fatto in Qatar negli ultimi dieci anni è normale che io mi senta più vicino a chi guarda a questo Mondiale come una tappa importante di riforma ed apertura in una regione di rilevanza strategica mondiale. Sarà un Mondiale unico per la tecnologia disponibile, l’innovazione e per il modo in cui, in pochissimi anni, ha cambiato il volto di un paese, sia in ambito di politiche pubbliche, stile di vita e internazionalizzazione. Si tratta del primo e forse l’ultimo Mondiale organizzato in una sola città , un po’ come fosse un Gioco Olimpico, considerando che la prossima edizione sarà ospitata da tre nazioni diverse. Penso che il Mondiale darà finalmente l’opportunità a molti di farsi la propria opinione, non mediata in un senso o nell’altro, del Qatar, dei paesi del Golfo e del mondo Arabo in generale.
Si è detto e scritto tanto sul tema dei diritti umani e della condizioni dei lavoratori in Qatar. Visto dall’interno, qual è la sua opinione? E’ vero, ci sono state vittime sul lavoro in tutti questi anni, ma è necessario fare riferimento a fonti autorevoli per comprenderne la dimensione, i progressi fatti e gli obiettivi da raggiungere. Mi riferisco in particolare ai dati raccolti dall’ Organizzazione Internazionale del Lavoro (ILO) e dall’Alto Commissariato per i Diritti Umani. Per esempio, non si devono confondere i numeri delle vittime del Mondiale con altre tragiche morti bianche avvenute nel corso dello sviluppo infrastrutturale del paese, che sarebbe avvenuto in ogni caso, avendo il Qatar il diritto, come lo abbiamo avuto in Europa ed in altri continenti, di costruire il proprio paese. La situazione del lavoro, come dichiarato in più occasioni dalle autorità qatarine e dallo stesso Segretario Generale del Comitato Organizzatore, non erano soddisfacenti nè da una prospettiva internazionale nè nazionale; quanti altri paesi al mondo hanno avuto il coraggio di mettersi a nudo sui temi dei diritti umani e del lavoro, aprendo le porte alle istituzioni internazionali, alle ONG ed alla stampa internazionale? Quanti altri paesi sono stati capaci in soli dieci anni di abbracciare cosଠtante riforme di natura legislativa e pratica? Dieci anni di preparazione hanno visto proliferare le attività della società civile, consolidato il ruolo della donna nella società e nelle istituzioni. Molte delle posizioni di vertice sono ricoperte da donne dotate di grande esperienza internazionale e formazione accademica.
Fino al momento del calcio di inizio la scelta del Qatar è stata criticata in merito all’opportunità di organizzare un Mondiale nel periodo invernale ed in un paese con poca storia calcistica. L’organizzazione dei grandi eventi sportivi, non solo un Mondiale di calcio, e’ stata per molti anni monopolio del mondo o della cultura occidentale. Se guardiamo il mondo esclusivamente da un prospettiva eurocentrica o dalla nostra latitudine, certamente è strano vedere un mondiale giocarsi nei mesi di novembre e dicembre. Ma non siamo gli unici ad abitare questo pianeta ed avere diritto di ospitare un evento che può portare con se importanti opportunità per chi lo ospita e la regione in cui l’evento si celebra. Non possiamo guardare ad un Mondiale semplicemente come intrattenimento, farlo significa andare contro la storia. Nonostante le critiche che giustamente sono state rivolte alle modalità di assegnazione dei mondiali nell’era pre-infantiniana, nel scegliere il Qatar per il Mondiale 2022, la FIFA, ma in un certo modo la comunità internazionale, ha deciso di sostenere gli sforzi della sua leadership nella promozione di un forte cambiamento sociale all’interno del paese e nei paesi limitrofi.
Citando Infantino, cosa ne pensa delle recenti dichiarazioni del Presidente della FIFA a favore del Qatar? Infantino giustamente invita tutti a guardare la storia. Il Qatar appartiene ad una cultura con radici profonde ed antiche, ma è un paese relativamente giovane avendo acquisito la sua autonomia dagli inglesi solo all’inizio degli anni settanta. Il fatto che per secoli l’Europa e l’Occidente siano stati protagonisti dei peggiori crimini internazionali “ pensiamo per esempio a cinquecento anni di tratta degli schiavi nel triangolo Africa-Europa-Americhe, piuttosto che alla segregazione razziale, non deve ovviamente suggerire tolleranza oggi verso simili comportamenti, ma dovrebbe almeno liberarci dal pregiudizio ed avviare una analisi più oggettiva dei fatti, molto più di quanto non sia stato fatto nei confronti del Qatar.
Quindi secondo lei il Qatar è stato attaccato ingiustamente? Dico che è dovere e diritto della stampa, ed ogni altro ente o persona esprimere opinioni o denunciare violazioni di diritti fondamentali; ma bisogna basarsi sui fatti e verificare le fonti. Penso per esempio alle proteste andate in scena lo scorso anno prima delle partite di qualificazione da parte di Nazionali come Norvegia e Germania, proteste che si basavano su una ricerca di un quotidiano inglese, e che utilizzava dati mai confermati dagli organismi internazionali di riferimento. Se non basiamo le nostre riflessioni ed azioni su dati corretti, rischiamo di danneggiare chi sta cercando di promuovere un cambiamento positivo. L’approccio deve essere scientifico, solo cosଠpossiamo evitare il pregiudizio.
Parla spesso di pregiudizio, ne ha sofferto con la sua organizzazione? Il nostro Centro, grazie proprio a dieci anni di lavoro scientifico e stretta collaborazione con le istituzioni internazionali, tra cui le Nazioni Unite e l’Unione Europea, ha raggiunto un buon riconoscimento a livello mondiale. Lavoriamo in particolare per contribuire allo sviluppo di politiche internazionali per proteggere lo sport da violenza, abusi e corruzione, nonchè promuovere l’uso dello sport come strumento di sviluppo e costruzione della pace. Grazie al riconoscimento raggiunto, certamente non ci sentiamo vittime anche se devo ammettere di aver vissuto, solo per il fatto di avere iniziato il nostro percorso da Doha, situazioni anomale. Poche pochissime, ma è successo. Questo in quanto abbiamo aperto il vaso di Pandora parlando, tra i primi al mondo, dei mali dello sport tra cui la corruzione, gli abusi sui minori, le partite truccate. Abbiano parlato di good governance e ci siamo seduti al tavolo con le agenzie internazionali per affrontare insieme questi problemi e proteggere la purezza dello sport, insieme. A qualcuno non è piaciuto, eravamo eretici, con l’accusa di essere uno strumento di ˜sportwashing’ a servizio delle politiche del Golfo. Due pesi e due misure. Se sei una ONG basata in un paese del nord del mondo, allora sei indipendente, se invece nasci nel mondo arabo allora sei uno strumento di propaganda. Se non ci sforziamo di capire, prima di giudicare, si rischia di colpire il bersaglio sbagliato ed ostacolare chi promuove il cambiamento.
Come CEO della sua organizzazione quali considera i maggiori successi? In Qatar, con dieci anni di duro lavoro, credo di aver contribuito ad un importante processo di riforma legislativa e strutturale, sia in ambito di sicurezza che rispetto dei diritti fondamentali. Abbiamo creato un modello in ambito di società civile che credo abbia ispirato molti altri dopo di noi. A livello mondiale, se oggi si parla e si agisce per tutelare meglio sport sia in ambito di sicurezza che di integrità , credo sia grazie anche a noi, in una misura che lascio ad altri indicare. Abbiamo portato il tema della protezione e della ˜legacy’ dei grandi eventi al cuore del sistema delle Nazioni Unite costruendo un programma mondiale di assistenza tecnica. Abbiamo contribuito a scrivere la Convenzione del Consiglio d’Europa contro le frodi sportive ed i piani di azione dell’UNESCO in tema di integrità . Per il tramite della nostra Fondazione Save the Dream ed insieme a UNICEF abbiamo creato sistemi di protezione dei minori dallo sfruttamento sessuale e lavorativo in ambito sportivo, cosଠcome abbiamo portato lo sport nelle periferie del mondo, nei posti dimenticati come Darfur, la Somalia e presto la Libia. Con l’Unione Europea abbiamo promosso politiche di assistenza ai rifugiati nei paesi intorno al Mediterraneo, sviluppato sistemi di volontariato internazionale in ambito di progetti sullo sport, creando opportunità ed occupazione.
Ha parlato della fondazione Save the Dream, ci sono diversi volti noti al mondo sportivo italiano coinvolti nel programma. Il nostro primo ambasciatore è stato Alessandro Del Piero. Subito dopo si sono aggiunti David Trezequet, Christian Karembeu, Fiona May e Giusy Versace per le politiche su sport e disabilità . Il rapporto tra l’Italia e Save the Dream, e l’ICSS, è sempre stato molto forte grazie alla sensibilità del nostro paese in ambito di dialogo inter-culturale e diplomatico. Vista da fuori, l’Italia rimane uno dei paesi migliori con cui lavorare, spero la nostra organizzazione possa essere utile per gli eventi che avremo nei prossimi anni, a partire da Milano-Cortina, nonchè continuare la nostra collaborazione con le istituzioni in ambito di diplomazia sportiva e protezione dello sport in tutte le sue dimensioni.
Sarà un Mondiale sicuro? Credo si sia fatto tutto quello che si doveva e poteva fare per garantire un evento sicuro ed inclusivo. Il Qatar è di base un posto sicuro in cui vivere, ed ha utilizzato tutti i meccanismi disponibili in ambito di cooperazione internazionale tra cui i programmi di assistenza di INTERPOL, Consiglio di Europa e Nazioni Unite, nonchè il sostegno tecnico di organizzazioni come la nostra. Non è stato facile pianificare un Mondiale in un mondo che è cambiato più volte negli ultimi anni, colpito da pandemie, crisi internazionali e regionali. E’ servita molta capacità di adattarsi al nuovo normale, se di normalità si può parlare.
Chi vincerà il Mondiale? Sicuramente la tolleranza ed il rispetto. Sul campo spero l’Argentina e la sua anima italiana.