DIRETTORE RESPONSABILE FRANCESCO CARRASSI

19 Aprile 2023

Luci e ombre nel divieto plastica monouso


AGIPRESS – Abbandonati per strada, lasciati a soffocare fiumi e ruscelli o a galleggiare sulla superficie o a sprofondare negli abissi dei nostri mari, danneggiando le specie animali che li abitano. Sono i contenitori di plastica monouso, per anni oggetto di feroci campagne di sensibilizzazione da parte di gruppi ambientalisti. Proteste che non sono rimaste inascoltate e che hanno stimolato l’adozione di misure rigorose per frenare un trend in pericolosa crescita: in oltre 100 paesi vige un divieto totale o parziale e dallo scorso decennio il numero di politiche pubbliche volte a eliminare questi rifiuti dannosi per la salute degli esseri viventi e dell’ambiente è praticamente triplicato. Il Bangladesh è stato il primo paese a vietare i sacchetti di plastica e polietilene nel 2002.

Che si vietino o si applichi un costo aggiuntivo a carico dei consumatori si tratta di misure che spesso si applicano solo ai contenitori leggeri e sottili, lasciando fuori quelli più spessi e resistenti. E diverse, come le sanzioni applicate, da paese a paese: in Kenya, ad esempio, dove i sacchetti di plastica intasano fiumi e corsi d’acqua responsabili di violente inondazioni, la loro produzione può comportare fino a quattro anni di carcere o una multa di circa 36.000 euro. I divieti sono diffusi in diversi paesi dell’Africa e dell’Asia dove si importano molti rifiuti “riciclabili” provenienti dai paesi del Nord del mondo e gli effetti di una gestione inefficiente della plastica sono preoccupanti. Oltre ai sacchetti, in alcune aree sono vietati anche altri prodotti; l’UE ad esempio, con la Direttiva 2019/904, la cosiddetta “Direttiva SUP (Single Use Plastic) ha bandito posate, cannucce, bastoncini per palloncini, cotton fioc e simili.

L’uso dei sacchetti di plastica in UE. In Europa 18 paesi hanno imposto divieti sui sacchetti di plastica sottili, tra cui Francia, Germania, Italia, Islanda e Albania; altri impongono agli acquirenti una tassa, mentre Svizzera e Norvegia (fuori dall’UE) consentono all’industria della plastica di imporre una “tassa volontaria” sull’uso dei sacchetti. Il consumo di sacchetti di plastica è maggiore nei paesi baltici e in quelli nordici, secondo i dati Eurostat del 2019: Lituania e Lettonia sono le prime della classifica dei paesi europei con rispettivamente 332 e 284 buste a persona su base annua. Per frenare questo trend i rispettivi governi hanno fissato il divieto per i negozi di fornire sacchetti di plastica gratuitamente, misura che sarà efficace a partire da quest’anno in Lituania e dal 2025 in Lettonia. Tra gli Stati europei più virtuosi ci sono, in ordine, Portogallo, Belgio e Polonia.

Efficacia dei divieti. livello mondiale il bando ai sacchetti di plastica ha avuto successo: in California, per citare un caso, ha ridotto il consumo del 71,5%. Ma anche i disincentivi economici come l’applicazione di tasse sono risultati efficaci. Secondo uno studio del 2019 sulla revisione delle politiche pubbliche in materia di buste di plastica l’imposizione di un contributo ha portato a una riduzione dell’utilizzo del 66% in Danimarca, di oltre il 90% in Irlanda, tra il 74 e il 90% in Sudafrica, Belgio, Hong Kong, Washington D.C., Regno Unito e Portogallo e di circa il 50% in Botswana e in Cina. Divieti e diminuzioni hanno un impatto concreto, se si considera che nei paesi dove questi sono vigenti durante l’attività di pulizia delle spiagge la quantità di plastica recuperata (non solo sacchetti ma anche cannucce e altri contenitori) è stata decisamente inferiore rispetto al passato. Anche la ricezione tra i cittadini nei paesi in cui sono gravano oneri economici sull’utilizzo sulla plastica è stata positiva: in Irlanda l’uso dei sacchetti di plastica è diminuito del 90% dopo l’introduzione di una tassa, accolta con entusiasmo dagli irlandesi.

E In Italia? Il nostro paese è stato il primo in Europa a bandire l’uso dei sacchetti di plastica. Seguendo un percorso piuttosto lungo e tortuoso. Già nel lontano 1988 un decreto ha imposto una tassazione alle buste di plastica cui è seguita con la legge finanziaria 2007 (governo Prodi II) la promessa di una progressiva riduzione per poi giungere al divieto di commercializzazione dei sacchetti di plastica non biodegradabili. Negli anni a seguire complice la crisi finanziaria mondiale il divieto è stato rimandato e nel 2012 per la prima volta è stata introdotta la distinzione tra “sacchetti monouso” (da bandire se non biodegradabili) e “sacchetti riutilizzabili”, anche non biodegradabili, il cui uso venne ammesso previo rispetto di specifici requisiti minimi di spessore, diversi a seconda della destinazione del sacchetto (alimentare o altro). Tra le altre condizioni volte a favorire il riutilizzo di materiale da raccolta differenziata per i sacchetti non biodegradabili si è imposta una percentuale di plastica riciclata di almeno il 10 per cento, elevata al 30 per cento per quelli ad uso alimentare, di contenere percentuali innalzabili con successivi interventi. Si tratta della normativa tuttora vigente sul territorio nazionale. A queste regole si è aggiunto nel marzo 2013 un decreto che oltre a stabilire specifiche regole di etichettatura imponeva che i contenitori monouso per gli alimenti fossero oltre che biodegradabili anche compostabili. Con una legge dell’agosto 2017 si è deciso di far pagare praticamente tutti i tipi di buste, in nome della riduzione dell’uso della plastica, che dovranno essere non solo biodegradabili, compostabili e a pagamento ma anche che dovranno contenere una percentuale via via sempre più alta di materiali rinnovabili, pari al 60 per cento entro il 1 gennaio del 2021. Oggi in Italia i sacchetti di plastica non sono ancora totalmente spariti; tuttavia è avvenuto un cambiamento epocale con una grande distribuzione ma anche farmacie e negozi di abbigliamento che forniscono buste di plastica leggere e ultraleggere compostabili in linea con la normativa europea.

A fronte di una riduzione drastica dell’utilizzo di buste in plastica la produzione di quelle compostabili e biodegradabili è esplosa. Seppure possa all’apparenza sembrare una notizia completamente positiva non lo è. Va tenuto conto infatti che alcuni sacchetti monouso vengono usati per diversi scopi (raccolta dell’umido e di altri scarti) causando notevoli danni agli impianti di smaltimento automatizzati che si trovano a trattare un tipo diverso di rifiuto rispetto a quello per cui sono stati concepiti. A ciò si aggiunga che molti degli imballaggi compostabili sono identici alla tradizionale plastica e che alcuni non possono venire trattati una volta inseriti nella raccolta dell’umido. In conclusione, se da una parte possiamo ritenerci piuttosto soddisfatti dei risultati raggiunti con i divieti totali o parziali dell’uso dei contenitori in plastica, dobbiamo esser più cauti nel giudizio sui benefici della sostituzione della plastica con la bioplastica. Un’errata concezione dei rifiuti e gli errori nello smaltimento di questi sono comuni. E si pagano a caro prezzo. AGIPRESS

di Pamela Preschern

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