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14 Luglio 2024

LA POLITICA DELL’ODIO E L’ATTENTATO A TRUMP

Se la violenza chiama violenza, c’è da aver paura delle conseguenze alla quali può portare l’escalation che finora ha nella sua punta dell’iceberg l’attentato negli Usa a Donald Trump. Le guerre, diventate una tragica abitudine, i toni di un dibattito globale che sembra uno scontro finale, hanno superato ogni limite. L’eco dei proiettili esploso in Pennsylvania è arrivato fino a noi, e condizionerà, magari inasprirà, le contrapposizioni già abbondantemente esasperate. Anche se gli effetti più immediati si verificheranno negli Usa, dove il risultato delle elezioni di novembre sembra ormai segnato. E dove anche gli esiti del dibattito sulla sostituzione o meno di Joe Biden sono superati. Perché è difficile, a questo punto, che qualcuno fra i dem abbia voglia di sacrificarsi sul fronte di una (quasi) certa sconfitta contro Trump. I democratici preferiranno mandare allo sbaraglio il presidente in carica, piuttosto che logorarsi in una battaglia per una candidatura alternativa, praticamente perdente, come sembrava quasi certo fino a poche ore prima dell’attentato.

Da noi, invece, il filo della tensione continuerà a tirarsi con la speranza che non si spezzi e prevalga il buon senso della democrazia e del confronto. I toni di odio hanno già raggiunto vette non più accettabili, anche in Europa dove già questa settimana i movimenti politici si troveranno ad affrontare il nodo, per niente sciolto, delle elezioni ai vertici dell’Ue e della conferma alla presidenza della Commissione di Ursula von der Leyen. La pace si costruisce ovunque con il dialogo, non con la violenza. In questi giorni, di buone parole ne abbiamo ascoltate. Che ora seguano i fatti.

di Marcello Mancini

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