AGIPRESS – La crisi climatica sta peggiorando: lo indicano i dati, lo conferma la scienza, lo percepisce la gente comune, osservando i repentini cambiamenti dei fenomeni ambientali e subendone le conseguenze. Per tentare di contenere l’emergenza servirebbe un impegno molto forte da parte delle istituzioni internazionali e dei governi, ed un atteggiamento probabilmente molto più deciso e consapevole da parte dell’industria. Ma questo combinato di azioni virtuose è molto spesso teorico: lo denunciano gli scienziati e lo conferma lo stato delle cose, a partire dal sostanziale e continuo fallimento dei grandi appuntamenti istituzionali globali, le Conferenze delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (COP), nelle quali più si parla di emergenza e meno decisioni si prendono. Ma che la situazione del clima e dell’ambiente sia grave è ormai un dato evidente ad una parte sempre più ampia della popolazione mondiale, che alla consapevolezza pare stia aggiungendo anche la volontà di agire.
Contribuisci alla crisi climatica? Ti porto in tribunale! Il rapporto Global Climate Litigation Report: 2023 Status Review, pubblicato dall’ UNEP (il Programma delle Nazioni Unite per l’Ambiente) e dal Sabin Center for Climate Change Law della Columbia University, fotografa una situazione nuova, che indica come l’opposizione alla crisi climatica stia partendo dal basso. Sono sempre più, infatti, le persone o le organizzazioni (ong, associazioni, comitati) che decidono di portare in tribunale governi, multinazionali, imprese del settore privato ritenuti in qualche modo responsabili del peggioramento delle condizioni ambientali. Secondo il report le “climate litigation”, le azioni legali che si riferiscono al cambiamento climatico, sono più che raddoppiate dal 2017, e sono in continua crescita.
Il primo report prodotto sull’argomento, infatti, che risale appunto a sei anni fa, registrava 884 cause in corso: il 31 dicembre del 2022 (data a cui è aggiornata la ricerca), il numero riferito è di 2180. Un incremento evidentissimo, che ormai indica come l’azione legale sia definitivamente divenuta strumento di lotta nella battaglia per il clima. Ma da chi partono queste azioni legali? Contro chi sono rivolte? Che obiettivi si prefiggono? A ricorrere ai tribunali sono, come detto, comuni cittadini, associazioni, ong, organizzazioni, istituzioni che individuano nella crisi climatica l’origine di un danno o di una lesione di diritti. Ma la crisi climatica, il suo peggioramento o il suo mancato miglioramento hanno dei responsabili: i governi, ad esempio, che magari non rispettano gli impegni presi a livello internazionale rispetto all’abbattimento delle emissioni. Oppure le aziende, le multinazionali, le imprese che producono combustibili fossili o altri inquinanti, in particolare gas serra. Le azioni legali, poi, si pongono diversi obiettivi: dall’imporre a governi o istituzioni il rispetto di standard o azioni ben determinate, con l’obiettivo di limitare le emissioni di gas serra, all’ impedire o bloccare l’attuazione di progetti specifici che aumentino le emissioni; dal richiedere rimborsi legati ad eventuali danni subiti.
L’unica strada percorribile? Il report spiega in maniera molto dettagliata le dimensioni e le caratteristiche del fenomeno: come detto, nel 2022 le cause legali che hanno ad oggetto la crisi climatica e le sue conseguenze sono state 2.180. Il numero più alto si è registrato negli Stati Uniti, che non a caso è tra i primi cinque paesi più “inquinanti” al mondo. Il ricorso alla giustizia è stato indirizzato a ben 65 organismi in tutto il mondo: corti internazionali, tribunali nazionali e regionali. Il 17% dei casi “ ed è un dato importante “ è stato segnalato in paesi in via di sviluppo. Sono le economie più deboli a subire, per lo più, i danni maggiori prodotti dai cambiamenti climatici: è significativo che il ricorso alla giustizia parta anche da là¬. In generale, la promozione della giustizia climatica ed il suo incremento “ anche attraverso il contenzioso “ è un dato importante ed incoraggiante. Lo strumento dell’azione legale, della causa, del ricorso alla magistratura per difendersi da chi produce emissioni inquinanti sta diventando una delle “armi” da utilizzare nella battaglia per la tutela dell’ambiente. Il problema è che spesso è anche l’unica: la mancanza reale di azione da parte dei governi, le campagne di “greenwashing” che vanno a simulare buone pratiche per poi “ invece “ proseguire sulla strada delle emissioni, l’atteggiamento della politica, che strumentalmente traccheggia, per motivi spesso elettoralistici, dall’imboccare con decisione la strada della sostenibilità ambientale, costringono le popolazioni che subiscono i danni di tutto questo a ricorrere “ come ultima istanza “ alla giustizia. È importante che ovunque sia chiaro che, se serve, è possibile intraprendere una azione legale per tutelare il clima, l’ambiente e la salute delle proprie comunità . È sconfortante che sia, sempre più spesso, l’unica strada percorribile per farlo. AGIPRESS
Alessio Ramaccioni – Stradenuove