DIRETTORE RESPONSABILE FRANCESCO CARRASSI

7 Aprile 2013

INCHIESTA – Il disagio sociale e suoi tanti aspetti

Ne abbiamo analizzato alcuni con esperti del settore

AGIPRESS – FIRENZE – Da qualche tempo la stampa riporta notizie preoccupanti circa il mondo dell’adolescenza, dell’infanzia, della figura della donna. Al centro dell’attenzione dei mass media, giovani assassini dei propri genitori, “baby killers” e violentatori adolescenti di bambine. Sull’onda emotiva evocata da tali eventi, numerosi e disparati sono stati gli sforzi compiuti da più parti, per interpretare il fenomeno dal punto di vista sociologico, psicologico psicopedagogico e psichiatrico. Tali comportamenti vanno considerati come assolutamente eccezionali e devianti, oppure rappresentano solo l’espressione estrema di un “continuum” che ad essi conduce? Fenomeni di disagio giovanile più diffusi e frequenti, come i comportamenti autolesivi, le tossicodipendenze, la violenza, individuale o di gruppo, quanto incidono nelle società industriali moderne? Soprattutto, nel disagio giovanile, tanto frequentemente investigato e discusso, quanto é relato alle fisiologiche crisi d’identità adolescenziale e quanto può essere correttamente ascritto ai nostri modelli culturali di sviluppo e di integrazione dell’individuo nella società ? Esiste una crisi epocale del modello di convivenza familiare? Quale ruolo essa potrebbe svolgere in questi fenomeni di devianza giovanile?

Probabilmente nessun’indagine potrà mai esaurientemente descrivere ed analizzare fenomeni tanto disomogenei ed in cosଠrapida evoluzione, quali i costumi e gli stili di comportamento sociale introiettati dagli adolescenti, nelle moderne società industriali. Alcune riflessioni però possono essere strumenti utili, per quanti in veste di genitori o per le attività professionali che svolgono, come insegnanti, psicologi, medici, entrano in contatto quotidiano con questa fascia di popolazione. L’esperienza quotidiana inoltre fa rilevare come, sempre più spesso, i genitori siano in pratica assenti dalla vita affettiva e relazionale dei figli, spesso per motivi di lavoro o per il bisogno di realizzarsi, professionalmente e socialmente, fuori dell’ambito familiare.

SEPARAZIONI E DIVORZI – Le situazioni conflittuali all’interno delle famiglie sembrano moltiplicarsi e, sempre più frequentemente, sfociano in separazioni o divorzi. L’ostilità e le tensioni emotive presenti in ambito familiare, sempre più spesso sono proiettate sulla parte più indifesa, i figli, usati spesso in modo strumentale e ricattatorio. All’interno della famiglia i disturbi comunicativi, studiati e trattati dalla psicoterapia familiare e di coppia, risultano sempre più frequenti. Sempre più spesso, in ambito familiare, manca nei confronti della prole un investimento affettivo privilegiato, un modello relazionale di sviluppo, ma anche, nel contesto sociale ed istituzionale, un chiaro progetto d’educazione dell’infanzia e dell’adolescenza. Il sottile e pervasivo senso di colpa, avvertito più o meno consciamente da genitori lontani e distratti, legato al sempre minore legame affettivo, stabilitosi negli anni con i figli, spesso si traduce in una gran disponibilità a fornire i tanti surrogati d’affetto, offerti dalla società dei consumi, sotto forma di oggetti del desiderio, dal giocattolo costoso ed esclusivo per il bambino, all’auto sportiva e potente, per il giovane.

Purtroppo nessun oggetto, per quanto costoso, può sostituire un sincero rapporto d’affetto. E’ anche per questo che nelle società industriali moderne, il disagio giovanile trova nell’abuso di sostanze psicotrope e di droghe una delle sue manifestazioni disadattive più diffuse e frequenti. In questo contesto dilaga inoltre il cosiddetto “mal di città “. Dati allarmanti raccolti dall’Asl Città di Milano evidenziano che tra il 2005 e il 2006 il numero di assistiti che hanno assunto antidepressivi è aumentato del 3,6%, da 81.821 a 84.805. Ma siamo solo all’inizio: le stime parlano che entro il 2020 la depressione maggiore sarà al secondo posto fra le prime cause di disabilità , mentre nel 1990 era al quarto. Secondo Studi internazionali essere nato e cresciuto fino a 13 anni in città accresce del 30% il rischio di schizofrenia, e che con l’aumentare del livello di urbanizzazione le probabilità di depressione passano dal 12% al 20%. La depressione metropolitana minaccia soprattutto le donne: per la mancanza di amici e di aiuto concreto da parte dei vicini. In città , fra il 2005 e il 2006 le donne che hanno assunto antidepressivi sono aumentate del 4,1% (da 57.133 a 59.465) e le prescrizioni del 4,7%. Il 65,3% dei malati assistiti dall’Asl milanese nel 2006 ha assunto solo farmaci, senza seguire altri interventi di supporto.

Il 5,1% dei ricoverati per problemi di salute mentale, inoltre, e’ stato trattato soltanto in ospedale. In altre parole, una volta dimessi questi pazienti si sono persi, ‘sfuggendo’ all’assistenza specialistica.

La situazione non è confortante nelle periferie come risulta da alcune ricerche nazionali ed europee. Esistono territori “fragili”, spesso territori montani (caratterizzati cioè da disagio sociale e penalizzazione funzionale e qualitativa) sottoposti negli ultimi anni a rapidi processi di trasformazione. Si pensi, ai quartieri dove si concentra una popolazione anziana con risorse modeste, un basso ricambio di nuovi nuclei familiari, compensato più recentemente dall’insediamento di cittadini stranieri, i cui bisogni di integrazione socio-culturale si innestano quindi in situazioni locali già di per sé non semplici. Deficit di servizi, di risorse (per esempio rispetto alla mobilità ) e di opportunità a disposizione degli abitanti, in particolare dei giovani che si sentono superflui, gli anziani che si sentono insicuri, gli operatori del territorio che si sentono frustrati, i cittadini stranieri che sentono ostilità nei propri confronti.

Gli aspetti critici della società attuale sono svariati e diversificati, per questo motivo ne abbiamo esaminati alcuni, secondo noi particolarmente rilevanti oggi, con dei professionisti del settore, docenti della Scuola di Specializzazione Quadriennale in Psicoterapia Comparata di Firenze, che ci hanno rilasciato le loro considerazioni che riportiamo di seguito.

1 – DISAGIO METROPOLITANO – Pietro Caterini, Psicologo Psicoterapeuta Presidente della Scuola di Psicoterapia Comparata

Portati dalla fantasia, i soggetti umani camminano per le strade delle metropoli, custodendo silenti i loro monologhi interiori. C’è forse un rumore ottuso nelle metropolitane, sono le animate conversazioni interne dei viaggiatori, dove senza testimoni le emozioni e i pensieri di ciascuno svolgono il dramma. Popolazioni di attori senza pubblico. Il disagio sembra essere connaturato alla metropoli. Già Fritz Lang (1924) in “Metropolis” ne parla. Anche Chaplin (1936) in “Tempi moderni”. Fondata la metropoli gli umani si ritrovano fuori dalle mura del borgo. E’ in gioco l’identità , la possibilità di nominare ed essere nominati dall’altro: non ci sono parole per contenere qualcosa che è fuor di misura, la città che si moltiplica, e con possibilità infinite di intersezione tutte le comunicazioni sono possibili e di ugual valore, compresi i monologhi televisivi. In luoghi senza parola gli umani si guardano e con lo sguardo si salvano. Fermi ad un caffè verso i movimenti dei passanti, occhi intravedono forme che sembrano pensieri: un vestito alla moda, una macchina nuova, un piercing sopra il ciglio. L’identità nella metropoli è ciò che si vede. Moltitudini che si imitano in singola similitudine: ciascuno con il suo monologo interiore e la stessa maglietta firmata. La creatura umana nasce singola e versatile e cerca ancora come Narciso la propria immagine. Solitari, davanti alla schermo di internet, la parola viene nuovamente vista, parola non udita ma scritta. Con gesto creativo rinascono le piazze nei forum telematici, nel 16 pollici dello schermo viene ritrovata una dimensione che pare umana: messaggi, scherzi, faccine. La comunicazione, per chi è abile, ritorna possibile, ancora affascinati dal flusso elettrico della metropoli: tentazione grande di perdersi l’un l’altro in una comunicazione infinita, cosଠsimile all’abituale monologo interiore. L’immediatezza dello scambio, veloce come la metropoli, fa saltare gli utenti da una chat all’altra, fin quando rimangono suggestionati da una singola comunicazione. Ancor più rapidi allora, dalle piste di internet, scendono nuovamente nelle piazze in un incontro che sperano personale. Dalla parola letta ricostruiscono un’immagine e un contatto reale, decentrati dal desiderio come i nodi della rete. Rinasce il borgo, una comunità mobile, che liquida rifiuta l’ampolla della testimonianza in un tentativo non medico di curare il disagio ed essere nuovamente fertili in direzioni ancora una volta non nominate. Il terapeuta incontra questo disagio nei racconti frammentati delle libere associazioni, quasi omologhe al tentativo di incontrarsi. Luogo di parola la terapia, del quale è sempre difficile rendere testimonianza, discorso privato, discorso del soggetto. Tentativo di argomentazione del desiderio catturato dalle insegne luminose della metropoli.

2 – IL DISAGIO GIOVANILE – Paolo Chellini, Psicologo Psicoterapeuta, docente Scuola di Psicoterapia Comparata

Nella pratica della psicoterapia capita spesso d’incontrare persone che chiedono aiuto per problemi connessi a traumi o abusi sessuali subiti nell’infanzia o nella prima adolescenza. Come clinici quindi, ci troviamo ad affrontare gli effetti prodotti da queste esperienze sullo sviluppo psicologico del soggetto. Le conseguenze che ne derivano possono manifestarsi attraverso varie forme di disagio come: difficoltà a sviluppare e mantenere relazioni durature, episodi ripetuti di comportamenti violenti o, viceversa, forme di ritiro dalla realtà con atti di autolesionismo o disturbi della sfera dell’alimentazione. Negli ultimi anni, grazie al progredire delle tecniche di Neuroimaging, la ricerca ha iniziato a mostrarci gli effetti neurologici che queste terribili esperienze hanno sullo sviluppo del cervello umano. Secondo i neuroscienziati le situazioni di forte stress emotivo, come quelle derivanti dalle situazioni di abuso o di ripetuta violenza, produrrebbero una modifica nello sviluppo di alcune zone del cervello: come per esempio alcune importanti aree della corteccia cerebrale implicate nel comportamento sociale. Il cervello di questi individui quindi, subirebbe un impoverimento nelle sue capacità plastiche, sviluppando forme di rigidità funzionale, come ad esempio la capacità di gestire le emozioni nella loro complessità (l’esperienza traumatica verrà rivissuta nel corso della vita come modalità automatica, cioè fuori dalla capacità del controllo cosciente del soggetto). Il risultato che ne consegue si manifesta attraverso tutta una serie di deficit emotivi che possono mettere in serio pericolo la capacità dell’individuo di sviluppare un percorso di vita lineare all’interno di una realtà basata sulle relazioni con i propri simili. La psicoterapia del soggetto abusato/traumatizzato può presentare degli aspetti diversi in funzione della sintomatologia espressa. Ma alla base delle varie tipologie d’intervento possiamo trovare un obiettivo comune: quello di ripristinare quell’esperienza di unione e coerenza di “senso” individuale emergente da un funzionamento integrato e fluido delle funzioni psicofisiologiche che ogni essere umano normalmente sviluppa, parafrasando lo psichiatra Donald Winnicott, all’interno dell’incontro con un mondo sufficientemente buono.

3 – IL DISAGIO DELLA DONNA – Nicola Materassi medico specializzato in Psicologia Clinica, docente Scuola di Psicoterapia Comparata

Nelle epoche passate il ruolo della donna era prevalentemente limitato allo svolgimento di compiti all’interno della famiglia. Negli ultimi decenni abbiamo assistito ad una serie di cambiamenti radicali per quanto riguarda il ruolo della donna all’interno della società . Basti pensare all’inserimento della donna nei corpi di polizia, nelle forze armate, in posizioni lavorative manageriali, in politica ecc. Ma a questo raggiungimento di ruoli sociali, si sovrappone il fatto che le donne stesse sono tenute a governare famiglie, molto spesso con bambini o adolescenti. Tale contesto può essere vissuto come insopportabile, insostenibile dalle stesse donne, anche perché non permette di prendersi cura di sé. La gestione della condizione lavorativa e familiare, pertanto, a volte crea disagio, conflitto. I disturbi d’ansia generalizzata, il disturbo di panico, i disturbi dell’umore sono quei disturbi che più frequentemente si riscontrano nella pratica clinica con le donne, senza dimenticare che nelle fasce di età più giovanili i disturbi alimentari sono quasi costanti. Sebbene si possa pensare che le patologie da stress riguardino entrambi i sessi, le donne a differenza degli uomini sono più predisposte psicologicamente ma credo soprattutto per ragioni culturali, a chiedere aiuto allo psicoterapeuta, e quindi a parlare delle proprie debolezze. Nonostante la donna abbia raggiunto una priorità di diritti in ambito sociale, continua ad essere soggetta facilmente a forti rischi; ne sono un esempio le situazioni di violenze subite fuori ma soprattutto dentro le famiglie, poi ancora le situazioni di mobbing e “stalking”. Quest’ultimo (letteralmente perseguitare) indica quegli atteggiamenti tramite i quali una persona affligge, perseguita un’altra persona con intrusioni, appostamenti, tentativi di comunicazione ripetute e indesiderate, come ad esempio lettere, telefonate, e-mail, sms, tali da provocare nella “vittima” ansia e paura, e da renderle impossibile il normale svolgimento della propria esistenza. Lo stalker può essere un conoscente, un collega, un completo estraneo, oppure nella maggior parte dei casi un ex-partner. In una società che ogni giorno mette alla prova, e pone davanti continue necessità di attuare scelte, decisioni importanti, ed espone continuamente a rischi la figura femminile, è necessario credere maggiormente in quelle potenti risorse che ogni donna possiede, e che spesso si trascurano o dimenticano.

Inchiesta realizzata da Davide Lacangellera

Agipress

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