Non sempre cambiare, magari fra gli applausi, è un passo avanti. Il cosiddetto progresso può anche essere una marcia indietro in un ipotetico e auspicato percorso di crescita. Penso al voto di condotta nelle scuole, <depenalizzato> con brindisi dal ministro dell’Istruzione Fedeli nel governo Gentiloni; e penso all’abolizione del servizio obbligatorio di leva, nel 2005 con il secondo governo Berlusconi. Tutto molto bello, così bello che ora si conviene che sarebbe meglio tornare indietro: forse abbiamo sbagliato. Anzi: nel caso del voto in condotta, oltretutto determinante per una bocciatura, abbiamo già fatto una retromarcia con una riforma che è legge: basterà il 5 per essere respinti, mentre con il 6 si sarà rimandati. Ovviamente il provvedimento non trova tutti d’accordo, (destra a favore, una parte della sinistra contraria) ma la severità ritrovata dovrebbe servire da deterrente per quegli studenti che a scuola pensano di fare i loro comodi e soprattutto di aggredire, nel vero senso della parole, insegnanti e compagni senza scontare almeno (dipende dalla gravità del gesto) una pena scolastica. Credo che il rigore non sia un capriccio politico, anche se così qualcuno lo vuol far passare, ma una necessità per riscoprire quella minima disciplina perduta che è una delle fondamenta della convivenza civile. Visto che tante famiglie non sono capaci di far rispettare le regole, ci penserà la scuola.
Con questa decisione fa il paio l’invocazione del ripristino del servizio militare. E’ certamente buona cosa la conversione in servizio civile, tuttavia <obbligare> un giovane a rispettare delle regole torna, anche qui, ad essere garanzia per la crescita verso una maturità, in tanti casi oggi piuttosto effimera. Il discrimine non è la divisa, da molti vista semplicemente come un simbolo di autorità, magari di destra, ma un obbligo che insegni, certo l’obbedienza verso una autorità riconosciuta, ma soprattutto l’educazione civile. E a proposito: bentornata Educazione civica, come materia di insegnamento nelle scuole, già eliminata con grande superficialità fra un tintinnar di calici. Piano piano, forse, ci stiamo rendendo conto che era meglio quando si credeva di stare peggio.
di Marcello Mancini
AGIPRESS