AGIPRESS – Quando riflettiamo sui prodotti che fanno male alla nostra salute, forse, fra gli ultimi posti della classifica inseriamo anche il sale, ma tendiamo a non pensare che possa essere cosଠnocivo. Solitamente diciamo che in piccole quantità non causa nessun danno ma, a quanto pare, nell’ambiente il sale non è per niente presente in piccole dosi, anzi, la sua concentrazione sta aumentando vertiginosamente. Un nuovo veleno ambientale, dunque, potremmo definirlo cosà¬. A contribuire alla salinità dell’acqua, ovvero alla concentrazione di sali disciolti, non è semplicemente il sale comune ma anche tutti i composti che possono disperdersi in ioni nell’ambiente acquatico (bicarbonato di sodio, nitrato di potassio, cloruro di magnesio). Questa variazione nella salinità dei sistemi acquatici dovuta all’azione umana è chiamata salinizzazione o sindrome da salinizzazione dell’acqua dolce e può avere conseguenze drammatiche per gli ecosistemi acquatici. Secondo i dati raccolti in una review diffusa su Nature Reviews Earth & Environment, i livelli di sale, in particolar modo quello del cloruro di sodio, il comune sale da cucina, ma non solo, nell’ambiente stanno aumentando talmente tanto da essere un pericolo per la salute umana, la causa è imputabile alle svariate attività antropiche. Tutto questo sale, infatti, proviene dal suo impiego come agente antighiaccio, dai sali usati come fertilizzanti, oppure quelli adoperati per creare alcuni materiali da costruzione.
Le analisi sostengono che l’aumento ha coinvolto globalmente circa 1 miliardo di ettari di suolo. La cosa ancora più preoccupante è che la concentrazione di sale non sta salendo solo nei fiumi e nei corsi d’acqua, ma, anche nel suolo e nell’aria, visto che parte degli ioni che costituiscono i sali possono volatilizzarsi in seguito all’evaporazione dell’acqua all’interno della quale erano disciolti, costituendo un ulteriore possibile fattore di rischio per la salute umana. Continuare su questa strada vuol dire compromettere ancor di più la disponibilità di acqua dolce per uso potabile, già oggi fortemente in bilico a causa di vari fattori, fra cui il riscaldamento globale, l’inquinamento delle falde acquifere e l’iniqua distribuzione delle risorse idriche in termini geografici.
I rischi per il Pianeta – “Se pensiamo al Pianeta come a un organismo vivente, l’accumulo di sale potrebbe compromettere il funzionamento di organi o ecosistemi vitali”, spiega Sujay Kaushal, primo autore dello studio e docente presso il dipartimento di geologia dell’Università del Maryland (Stati Uniti). “Vent’anni fa tutto quello che avevamo erano dei casi studio. Potevamo dire che le acque superficiali erano salate qui a New York o nelle riserve di acqua potabile di Baltimora. Adesso mostriamo che si tratta di un ciclo, dal profondo della Terra fino all’atmosfera, che è stato significativamente perturbato dalle attività umane”, conclude Gene Likens, secondo autore dello studio e docente di ecologia presso l’Università del Connecticut (Stati Uniti). Un ciclo che gli autori chiamano “ciclo antropogenico del sale”. L’unica, per ora, ipotetica soluzione è quella della desalinizzazione dell’acqua, ma non è facilmente attuabile, dal momento che è un meccanismo dispendioso sia in termini energetici e sia in termini economici, mettendo da parte il fatto che potrebbe generare dei sottoprodotti difficoltosi da smaltire. Dunque, da oggi, per evitare di avere un Pianeta malato, oltre a tenere sotto stretta osservazione la concentrazione atmosferica di CO2, lo spessore dello stato di ozono e il grado di acidificazione degli oceani, bisognerà controllare anche il livello di produzione e utilizzo del sale. AGIPRESS
Francesca Danila Toscano – Stradenuove