Il documento adesso all’inchiesta pubblica finale. Stakeholder, commenti possibili fino al 25 marzo
AGIPRESS – MILANO – Se da una parte la nuova normativa comunitaria sulla privacy inizia a preoccupare le imprese, che si dovranno adeguare entro il 25 maggio 2018 per non rischiare multe fino a 20 milioni di euro o fino al 4% del fatturato annuo, sul fronte del mercato del lavoro ci sono invece prospettive positive, derivanti dalla crescente necessità di esperti della materia e dall’obbligo di nomina di un “data protection officer” per tutte le pubbliche amministrazioni e per le imprese che trattano su larga scala dati sensibili o altri dati che presentano rischi specifici, oppure se nelle attività principali vengono effettuati trattamenti che richiedono il controllo regolare e sistematico degli interessati, come avviene spesso nelle attività di e-commerce in cui gli utenti vengono profilati online per proporre loro prodotti e servizi in base ai loro gusti e alle loro preferenze. Un contesto che, secondo le stime dell‘Osservatorio di Federprivacy, nei prossimi 12 mesi potrà richiedere fino a 45mila esperti solo in Italia. Numeri importanti, quelli di un’emergente categoria professionale che necessiterebbe però di più trasparenza nel mercato con standard e parametri di riferimento che sono in cantiere da un anno e mezzo con una specifica norma UNI arrivata ora a conclusione del suo iter, ma i cui contenuti non convincono la principale associazione di riferimento del settore:”Quello della norma tecnica sarebbe stato lo strumento ideale a disposizione degli stakeholder per definire i requisiti che devono possedere i professionisti della privacy per poter essere riconosciuti dal mercato, ovviamente a condizione imprescindibile che tali regole fossero allineate alle prescrizioni del Regolamento UE e alle recenti Linee Guida del Working Party Art.29, nelle quali è stato precisato che il data protection officer deve avere in particolare una conoscenza specialistica della normativa e delle prassi in materia, talvolta anche più elevata in base alla complessità o alla mole dei trattamenti effettuati – spiega in una nota il presidente di Federprivacy, Nicola Bernardi – Da parte nostra, abbiamo segnalato in tutte le sedi la necessità di disegnare un profilo adeguato del DPO, ma ora dobbiamo con rammarico constatare che il progetto finale di norma vede un profilo professionale stravolto rispetto ai dettati dell’UE, generico per quanto riguarda le conoscenze giuridiche della normativa, e con molte altre conoscenze invece informatiche, riconducibili più a quelle di un security manager che a quelle richieste a un data protection officer. Allo stato attuale – conclude Bernardi – questa norma non risponde ne’ alle prescrizioni di legge, ne’ alle esigenze di mercato, e per questo rischia di essere solo fuorviante per le imprese che sono alla ricerca del professionista giusto a cui conferire l’incarico.”
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