Il commento di MARCELLO MANCINI
AGIPRESS – “Non mi piace ricordare ma ancora meno amo dimenticare”. E’ un po’ l’epitaffio di Maurizio Costanzo. Aveva ragione: perché con il ricordo è facile scivolare nella banalità , genere da cui era visibilmente infastidito; mentre <non dimenticare> è un esercizio più complesso e perfino innovativo, che è stato invece il motivo della sua produzione, nelle molteplici forme della vita professionale di cui è stato protagonista. Dalla musica al teatro, dalla tv al giornalismo. Dalla politica al calcio: è stato perfino direttore della comunicazione della sua squadra, la Roma. Pippo Baudo lo ha definito, un <uomo tuttofare>. Non è un caso che oggi la stanza delle memorie sia affollatissima delle testimonianze che abbracciano non un mondo, ma mille mondi. Tutti quelli da cui Costanzo è passato.
Fa testo il titolo del suo ultimo libro, che si chiama <Smemorabilia> e che è un modo originale per raccontare la sua lunga esperienza giocando con il catalogo degli oggetti perduti, tipo il telefono a gettoni o la macchina da scrivere, la cabina della fototessera o i soldatini di piombo. Del resto Costanzo ha spaziato dall’italianità del Dopoguerra all’italianità del Duemila, modi diversi di raccontare il nostro Paese da una poltrona in prima fila, incrociando temi epocali come la mafia, contro la quale si era esposto (era amico del giudice Falcone) e di cui è stato anche bersaglio di un attentato al quale scampò in via Fauro a Roma.
Quando dici Costanzo, pensi all’Intervista, con la I maiuscola. Cioè alla capacità di fare domande e soprattutto di ottenere delle risposte non scontate e sempre rivelatrici della personalità dell’interlocutore, si trattasse di un personaggio qualunque o di un potente come Gheddafi o Kissinger. La prima trasmissione – oggi si direbbe format – che spiazzò tutti i palinsesti, fu proprio Bontà loro, sulla Rai. Un faccia a faccia con l’ospite, un modello mai visto. Una scenografia spoglia, alla quale poi si aggiunse un acquario, sempre però uno show di parole, quasi mai trattenute, che infatti non casualmente sfociavano in risse verbali. O anche oltre: come quella volta che Marina Ripa di Meana gli spalmò una torta in faccia, davanti a un esterrefatto Marco Pannella.
Il trasloco a Mediaset generò il Maurizio Costanzo show, un salotto diventato icona della televisione italiana, dalle cui sedie sono passati di tutti i tipi, in quarant’anni di storia, dal 1982 a ieri. Personaggi eccentrici, rissosi, celebri, anche sconosciuti che però sul palcoscenico del Teatro Parioli sapevano trasformarsi in artisti veri. Ecco, Costanzo è stato quello che si dice un talent scout, uno che ha lanciato – o rilanciato – talenti di successo. Sono in tanti a dovergli la carriera: se ne potrebbe ricordare un esercito, anche se uno dei primi e tra i più esplosivi, che da pirotecnico storico dell’arte seppe costruirsi un personaggio poliedrico, è stato Vittorio Sgarbi.
Costanzo fu tra i pochi a non essere travolto dal ciclone della P2, la loggia massonica di Licio Gelli, alla quale si iscrisse e per cui, una volta resi pubblici gli elenchi, ammise un pentimento: <Sono stato un cretino>. Da dimenticare – e del resto in pochi se la ricordano – la parentesi giornalistica come direttore del quotidiano l’Occhio, voluto dalla Rizzoli di Tassan Din sul modello del tabloid popolare inglese, che restò in vita poco più di due anni, dal 1979 al 1981.
L’ironia era uno dei connotati di Costanzo. Ironia che gli derivava dalla sua romanità , ma anche dall’aver lavorato con prà¬ncipi dell’umorismo come Enrico Vaime (con il quale prima della scomparsa dello sceneggiatore, nel 2021, aveva condotto una brillante e allusiva trasmissione notturna) e Marcello Marchesi, a cui un po’ assomigliava come versatilità e come spirito televisivo. Anche Marchesi era stato autore tv e paroliere di canzoni di successo. Costanzo firmò la celebre <Se telefonando>, musica di Morricone e voce di Mina.
Di Marchesi, Maurizio Costanzo ricordava spesso una celebre battuta: <La morte? L’importante è che ci colga vivi>. Per lui è andata proprio cosà¬.
AGIPRESS
di MARCELLO MANCINI