Calcolato il peso delle 5000 imprese guidate da orientali. Si stimano oltre due miliardi di produzione annua e ben 40-45000 residenti effettivi (fra regolari e non)
AGIPRESS – PRATO “ Il peso economico della comunità cinese a Prato è stato al centro di un convegno che si è svolto stamani nella città laniera in occasione della presentazione di uno studio dell‘Irpet. “Prato era fino a pochi anni fa la seconda provincia in Italia per esportazioni “ ha spiegato il direttore dell’Irpet, Stefano Casini Benvenuti -: prima c’è Vicenza e a ruota Arezzo, tutte e due in vetta alle classifiche per l’oro, quindi Siracusa, per i suoi prodotti petroliferi. In pochi anni il valore delle esportazioni a Prato è crollato del 35-40%. Anche il valore aggiunto ha avuto un tonfo, ma non in questi termini”. Il motivo? La prima spiegazione riguarda il mercato degli affitti, che a Prato pesa il 17% (più della media regionale). La seconda spiegazione è la possibile minor dipendenza da servizi localizzati un tempo in altre province. Ma non basta. Ecco cosଠla terza spiegazione: la presenza di una vasta economia sommersa, che la ricerca dell’Irpet prova appunto a misurare.
Una produzione da oltre 2 miliardi – Lo studio quantifica tra l’11 e il 13% l’apporto delle imprese cinesi al valore aggiunto prodotto nell’intera provincia: qualcosa come 680 milioni di euro nell’ipotesi minima e quasi 800 milioni in quella massima, con un produzione stimata tra 2 e 2,3 miliardi.
Da conto terzi a imprenditori finali – All’inizio i cinesi, negli anni Novanta, erano sopratutto sub-fornitori: cucivano per conto terzi. Negli anni Duemila molti sono diventati imprenditori finali e sono passati dalla cucitura dei capi alla progettazione dei modelli e alla commercializzazione degli abiti. Altri, molti di meno, lavorano nella ristorazione e nel commercio.
Quasi cinquemila imprese – 4.830 sono le imprese cinesi a Prato. Sono quattro volte quelle di dieci anni prima, un sesto di tutte quelle delle provincia e molte di più se si guarda al solo abbigliamento, quasi le metà delle aziende pratesi condotte da stranieri.
Più di quarantamila residenti e 20 mila lavoratori – Altri numeri sono più difficili da quantificare, come i residenti e i lavoratori. Gli irregolari sfuggono infatti alle statistiche ufficiali. Ragionando sui consumi di acqua e sul rapporto tra irregolari e regolari riscontrato durante i controlli sulle imprese da parte delle forze dell’ordine, l’Irpet una stima è riuscita comunque a farla. I residenti “veri” potrebbero benissimo essere 40-45 mila cinesi (di contro ai soli 17 mila cinesi iscritti all’anagrafe e i 32 mila permessi di soggiorno richiesti). I lavoratori oscillerebbero tra 17 e 20 mila, con un forbice di irregolari compresa tra 6 a 9 mila addetti.
Aziende poco longeve ma più robuste – Lo studio conferma l’elevata mortalità delle imprese cinesi: delle 386 nate nel 2001 ne sopravvivevano alla fine del 2012 solo 53, meno del 4%. Le imprese cinesi sono in genere anche piccole e con pochi addetti, come del resto quelle degli italiani. La dinamica negli ultimi anni è però opposta: quelle italiane, complice la crisi, si sono fatte ancora più piccole, quelle cinese sono cresciute in dimensione.
Le rimesse – Un capitolo dello studio è dedicato anche alla rimesse verso la Cina. Le oscillazioni sono grandi, a seconda degli anni. Si parte da 20 milioni di euro nel 2005 (meno della metà allora di Firenze) fino a 187 milioni del 2012. Il picco è tra il 2007 e il 2009 con 431, 373 e 464 milioni. Numeri che pongono Prato sul podio delle classifiche nazionali: mai prima ma tre volte seconda, quattro volte terza e un solo anno, nel 2005, quarta.
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