DIRETTORE RESPONSABILE FRANCESCO CARRASSI

13 Gennaio 2023

L’azzurro tornerà sempre più azzurro

Il commento di Massimo Sandrelli

AGIPRESS – “Azzurro” è diventato sinonimo dell’Italia sportiva, quella che gareggia in ogni disciplina e a qualunque livello. È il colore che fu scelto nel 1911 per rendere omaggio alla famiglia Savoia (uno dei pochi segni sopravvissuti alla famiglia reale). Soprattutto fu il colore della nazionale di calcio che proprio poco più di un secolo fa affrontò nel 1911, appunto in azzurro, l’Ungheria. Il primo successo internazionale fu conquistato in un torneo con le rappresentative mitteleuropee, il trofeo: una magnifico vaso di Bohemia. Durante il viaggio di ritorno in treno Vittorio Pozzo teneva quella coppa di cristallo sul tavolino dello scompartimento. Un sobbalzo e il trofeo cadde. Pozzo, disperato, recuperò il piccolo frammento che si era staccato e non ebbe bene fino a quando non riuscଠa farlo rincollare. Oggi quella coppa è esposta nel Museo del calcio di Coverciano.

L’azzurro ha resistito sempre e comunque. Ci fu un’eccezione nel 1938, durante i mondiali francesi. All’Italia toccava di incontrare la nazionale di casa i “blues”. Era necessario che qualcuno dovesse cambiar maglia e toccò alla squadra di Vittorio Pozzo. La scelta alternativa venne “suggerita” direttamente da Palazzo Venezia “giocheremo in nero con il simbolo dell’Italia littoria”. L’Italia vinse con una doppietta di Silvio Piola. Azzurri sempre e comunque, prima del fascismo, durante il fascismo e dopo, in Monarchia e in Repubblica. Si può dire che rappresenta, in qualche modo, la continuità del sentimento popolare nell’ultimo secolo della storia d’Italia. È il “quarto” colore della nostra bandiera ma per tutti è il simbolo più significativo e c’è chi sospetta possieda qualcosa di esoterico. Tutte le grandi partite della nazionale hanno svolto prodotto effetti che andavano oltre il valore tecnico. Contro l’Inghilterra (1934) che, non senza arroganza, se ne stava fuori da ogni competizione, l’Italia campione del mondo perse in dieci. Sul tre a zero, Meazza segnò due gol, colpendo alla fine una traversa e sfiorando il pareggio. Diventarono i “leoni di Highbury”, meritando il rispetto dei superbi britannici. Nel dopoguerra la seconda finale europea contro la Jugoslavia (1968) i gol di Anastasi e Riva, restituirono senso nazionale ad un Paese che viveva il delicato post-miracolo-economico, tra contestazione giovanile e moti sindacali. Contro la Germania allo stadio Atzeca (1970) gli azzurri si guadagnarono la finale, dopo due tempi supplementari che sono ancora il tormento dei tedeschi. Quell’ultimo gol di Rivera diventò la perla in una giostra di emozioni cosଠtravolgente che indusse gli organizzatori a apporre una lapide ricordo allo stadio. La vittoria contro il Brasile (1982) ribaltò la considerazione sul nostro calcio, appena uscito dalla tempesta del “totonero”, il terzo titolo iridato e i gol di Paolo Rossi fecero riporre in soffitta l’immagine delle “gazzelle” della Guardia di Finanza sulla pista dello stadio Olimpico. Altro scandalo, Calciopoli, e quarto titolo mondiale, contro i francesi. Zizou Zidane perde la testa, anzi la usa come si fa durante le risse delle banlieues parigine. Ultimo titolo, l’europeo di Londra, dove la nazionale di Roberto Mancini compie un altro piccolo miracolo, in un Paese che, dopo il referendum, aveva deciso per la Brexit. Certo l’azzurro, come scrisse Giovanni Arpino (Azzurro tenebra), ha conosciuto anche sfumature più amare come contro la Corea Nord (1966) e Sud (2002), o la Macedonia (2022) ma poi alla fine l’azzurro tornerà sempre più azzurro, ce lo dice la storia.

di Massimo Sandrelli

ARTICOLI CORRELATI
Torna in alto