La ricerca stabilisce che le staminali di questo tipo di tumore possono essere uccise utilizzando l’inibitore della S1P
AGIPRESS – MILANO – Il glioblastoma è il tumore più comune e il più maligno del cervello. Al suo interno contiene delle cellule staminali “cattive” che sono di fatto il motore del tumore: lo sostengono e lo fanno diventare sempre più grosso e aggressivo. Nonostante l’intensità delle cure, la sopravvivenza media dei pazienti con questo tumore è di 12-16 mesi dalla diagnosi. Ora però i ricercatori hanno un’arma in più per tentare, in futuro, di sconfiggerlo.
UNO STUDIO appena pubblicato dalla rivista scientifica Glia condotto da Giovanni Marfia, della Fondazione Ca’ Granda Policlinico di Milano, e coordinato da Laura Riboni del Dipartimento di Biotecnologie Mediche e Medicina Traslazionale dell’Università degli Studi di Milano, ha dimostrato che l’aggressività delle cellule staminali di glioblastoma è regolata da una piccola molecola chiamata Sfingosina-1-fosfato (S1P) che rende il tumore resistente alle attuali terapie. La ricerca, in particolare, ha stabilito che le staminali di questo tipo di tumore possono essere uccise utilizzando l’inibitore della S1P. Un fatto non da poco, visto che unire questo inibitore alla chemioterapia potrebbe portare un concreto vantaggio nelle terapie per i malati di glioblastoma. Lo studio guidato da Marfia, del Laboratorio di Neurochirurgia Sperimentale e Terapia Cellulare dell’Unità di Neurochirurgia diretta da Paolo Rampini, è stato condotto in collaborazione con Rolando Campanella dell’Ospedale San Carlo Borromeo, e ha visto la partecipazione anche di altri esperti dell’Università degli studi di Milano e dell’Istituto Neurologico Besta. Come spiega lo stesso ricercatore, “il glioblastoma ha un picco di insorgenza tra i 45 e i 70 anni, anche se non sono rari i casi nei soggetti più giovani. Attualmente il trattamento prevede un approccio multidisciplinare essenzialmente basato sulla resezione chirurgica, a cui si aggiungono radioterapia e chemioterapia. Ma nonostante l’intensità dei trattamenti, sono necessarie terapie più mirate e specifiche che consentano di eradicare le cellule staminali tumorali responsabili dell’aggressività , della crescita, delle recidive e della resistenza alle terapie da parte del tumore stesso”.
RISULTATI RICERCA INCORAGGIANTI – In questo tipo di tumori, di fatto, l’1-3% della massa di cellule è costituito da staminali ˜maligne’: “Hanno le stesse caratteristiche delle staminali neuronali presenti nel cervello di individui sani “ commenta l’esperto “ ma hanno delle alterazioni genetiche che si sono accumulate nel tempo, che tra le altre cose le rendono resistenti alle terapie. Basta che una sola staminale tumorale sfugga alle cure perché si rimetta in moto il meccanismo del cancro e si abbia una ripresa di malattia”. “In questo studio, tutto italiano “ sottolinea Laura Riboni, professore ordinario di Biochimica dell’Università degli Studi di Milano “ sono state analizzate cellule staminali tumorali di pazienti colpiti da glioblastoma, dimostrando che queste cellule producono in grandi quantità Sfingosina-1-fosfato, auto-alimentandosi”. Ed è quindi questa molecola, aggiungono i ricercatori, che stimola la malignità e la crescita delle cellule tumorali. Infatti, se in una provetta si somministrano i chemioterapici a queste cellule, non c’è nessun effetto: le staminali del tumore resistono ai farmaci. Ma se insieme alla chemioterapia si utilizza un inibitore di S1P, le staminali muoiono: inibire la sfingosina-1-fosfato, insomma, rende le cellule del tumore di nuovo vulnerabili alle cure. “I risultati ottenuti a livello sperimentale sono molto incoraggianti, anche se preliminari “ conclude Marfia “ e costituiscono le basi per ulteriori studi. Nei nostri laboratori stiamo già lavorando per sviluppare un approccio clinico che vede l’utilizzo di inibitori specifici di S1P in aggiunta alle attuali terapie, al fine di ottenere per il futuro un miglior controllo della crescita tumorale e una migliore risposta ai trattamenti per i nostri pazienti, e migliorarne quindi la prognosi”.
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