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8 Febbraio 2021

L’ANALISI – La “questione tedesca” pesa come un macigno sulle relazioni transatlantiche

Il punto di vista dell’analista Mirko Giordani, fondatore e CEO di Prelia.

(AGIPRESS) – Durante la presidenza Trump, i rapporti transatlantici tra Europa e America, per quanto riguarda la lotta al climate change, non potevano essere più tesi. Ora però la musica è cambiata. Biden riporta l’America negli accordi di Parigi, smontando pezzo per pezzo le politiche sviluppiste e pro-idrocarburi portate avanti dall’ex Presidente Donald Trump. Ovviamente la notizia ha scosso, in positivo, le cancellerie europee, che non aspettavano altro se non un Presidente USA con un approccio meno transattivo e più propenso al dialogo multilaterale. Joe Biden, in uno dei suoi primi 17 atti esecutivi, ha bloccato la costruzione del gasdotto Keystone XL, che avrebbe portato quasi 1 milione di barili di greggio al giorno dall’Alberta, in Canada, fino alle coste del Golfo del Messico. L’Europa, dopo l’abbandono americano e la freddezza cinese, è stato l’unico player mondiale a giocare seriamente la partita della lotta contro i cambiamenti climatici, con l’obiettivo ambizioso, sostenuto dal NextGenEU, della neutralità climatica entro il 2050. Con il rientro della potenza americana, la solitudine europea sembrerebbe finita, e un osservatore poco attento sarebbe propenso a dire che va tutto bene, che Unione Europea e Stati Uniti siano tornati sugli stessi binari. “Attenzione però – spiega l’analista Mirko Giordani, fondatore e CEO di Prelia, società che si occupa di rischio politico ed intelligence strategica – che non è tutto oro quel che luccica, ed il rientro dell’America negli accordi di Parigi non significa affatto che i rapporti transatlantici torneranno rosei come una volta”. “C’è infatti la variabile tedesca – aggiunge l’analista di Prelia – e qui non parliamo del virus ma dell‘importanza economica e politica del colosso tedesco nell’architettura UE. Trump infatti, quando minacciava la guerra commerciale all’Europa, in particolare puntava il dito contro l’industria tedesca e la sua fenomenale capacità di export. Ora la Germania, in partenariato con la compagnia russa Gazprom, sta costruendo il gasdotto North Stream 2, che permette al gas russo di bypassare l’Ucraina e che quindi pone due questioni molto importanti: una di carattere reputazionale e una di carattere squisitamente politico. La prima, ma non la meno importante, riguarda la credibilità tedesca nella lotta contro i cambiamenti climatici. Nei corridoi bruxellesi già si sussurra come in realtà il NextGenEu sia in realtà un gigantesco bailout del contribuente europeo per la trasformazione dell’industria tedesca. Ma, al di là delle chiacchiere di palazzo, con quale autorevolezza si può affrontare il discorso cambiamenti climatici con un investimento cosଠmassiccio sugli idrocarburi? Fate attenzione – sottolinea Giordani – chi vi parla non ha nulla contro l’utilizzo del gas per la transizione ecologica, che anzi è auspicabile, ma inaugurare la Presidenza Biden ed il rientro degli Stati Uniti nell’accordo di Parigi con il completamento del North Stream 2 ha il sapore del teatro dell’assurdo. Poi c’è il problema politico, quello si tangibile e reale: il Dipartimento di Stato Americano, presieduto da Antony Blinken, ha posto sanzioni sulla nave posatubi russa “Fortuna”, che in questo momento sta lavorando nelle acque danesi a dispetto delle sanzioni americane. Al di là delle photo opportunity di rito e dalla felicità delle classi dirigenti europee di aver ritrovato un presidente USA con un approccio meno transattivo e più multilaterale, le spine nel fianco restano. E sarà la nuova leadership tedesca che si staglia all’orizzonte a doverle affrontare” – conclude l’analista. AGIPRESS

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