Luce e ombre per un settore da sempre eccellenza mondiale.
AGIPRESS – Dalla nota congiunturale relativa ai primi nove mesi 2019 del settore calzature made in Italy, elaborata dal Centro Studi Confindustria Moda per Assocalzaturifici, dati di incertezza. Per quanto riguarda i consumi interni, nessun miglioramento significativo dopo l’estate: gli acquisti delle famiglie registrano una contrazione del -3,3% in quantità nei primi 9 mesi, con un -2,6% in valore. Unico comparto in espansione quello delle calzature sportive e sneakers (+1,5% in volume e +3,5% in spesa). Battuta d’arresto invece per le scarpe “classiche” per uomo (nell’ordine del 10% in volume) e donna (-6%, nonostante una tenuta nei polacchetti e negli stivali alti). Tra le poche performance positive quella dell’export, che segna una crescita del +6,7% in valore, grazie al terzismo per le griffe del lusso, a fronte comunque di un calo contenuto in quantità (-0,8% nei primi 8 mesi dell’anno, ma che sale fino al -4,2% per le calzature in pelle) ed un prezzo medio in ascesa del +7,5%. Tra i mercati, segnali incoraggianti dalla Svizzera (+24,2% in valore) e dalla Francia (+9% sia a valore che a volume) che insieme coprono globalmente quasi 1/3 delle vendite estero in valore, mentre permangono difficoltà verso Germania (-8,7% in volume), Russia (-18,5%) e Medio Oriente (-14%), con una flessione del -12,8% in volume per gli Emirati Arabi. Rafforzamento dell’export verso gli USA (+11,6% a valore) e Far East (+9,2% globalmente). L’aggregato “Cina+Hong Kong”, divenuto il 5° mercato di sbocco in valore, mostra aumenti del 3,1% in volume e dell’8,5% in valore. Globalmente – si legge nella nota – nei primi nove mesi il numero di calzaturifici si è attestato a 4.357 (con un calo di 148 unità , pari al -3,3%) mentre gli addetti sono rimasti pressoché stabili a 75.474 (-0,3%, pari a 206 lavoratori in meno). Da non trascurare anche l’aumento della Cassa Integrazione Guadagni nell’Area Pelle (+28,3% le ore autorizzate). Infine, pessimismo degli imprenditori verso il futuro. La maggioranza, intervistata sulle aspettative per l’anno prossimo, esclude previsioni di crescita; quasi la totalità ritiene inoltre che le misure contenute nel DEF 2020 non siano in grado di portare una ricaduta economica sulle imprese.
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