Uno studio condotto a Stia (AR) da Giorgio Bianciardi, chimico, biologo ed esperto di sistemi caotici, insieme a Joseph Miller, neurobiologo dell’Università della California ex direttore del progetto Space Shuttle alla NASA
AGIPRESS – AREZZO – Sabato 27 luglio, a partire dalle ore 21 presso il Planetario del Parco Nazionale delle Foreste Casentinesi, in loc. Stia con Giorgio Bianciardi si parlerà della vita su Marte.
Un’occasione unica per essere informati e aggiornati, direttamente dal principale protagonista, su uno degli studi più importanti nel panorama internazionale riguardante la ricerca di forme di vita negli altri corpi del sistema solare, e di alcuni recenti sviluppi, di cui avremo il privilegio di essere a conoscenza, primi in assoluta mondiale tra i non addetti ai lavori.
La NASA di recente ha confermato che ci sono alte possibilità che un tempo sul pianeta rosso ci fossero le condizioni per lo sviluppo di microrganismi nonostante non si abbia ancora la certezza assoluta. Questa conferma, arrivata da recenti analisi di un campione di roccia raccolto dal rover americano Curiosity, atterrato su Marte nell’agosto 2012, ha permesso ai ricercatori della NASA di arrivare appunto alla conclusione che in tempi remoti Marte avesse probabilmente ospitato qualche forma di vita, sotto forma di microorganismi.
Con le dovute cautele sui risultati, è esattamente quello che Giorgio Bianciardi, chimico, biologo ed esperto di sistemi caotici, docente di Astrobiologia all’Università di Siena e Vicepresidente della Unione Astrofili Italiani, ha rilevato in uno studio condotto insieme a Joseph Miller, neurobiologo dell’Università della California nonché ex direttore del progetto Space Shuttle alla NASA, e Gilbert Levin, uno dei pionieri della ricerca di vita sul Pianeta Rosso.
Per capire i risultati dell’indagine, portata agli onori della cronaca mondiale nella primavera 2012, bisogna tornare al 1976, quando la NASA inviò due sonde su Marte, Viking 1 e 2, e vi fece atterrare due lander programmati per eseguire esperimenti di biologia. Erano previsti tre test, tra cui quello chiamato Labeled Release (LR), ideato proprio da Levin. I lander raccolsero campioni di suolo marziano e lo mescolarono ad acqua contenente nutrienti e a un isotopo di carbonio radioattivo. Se il suolo marziano avesse contenuto batteri o altre forme di vita, queste avrebbero metabolizzato i nutrienti e rilasciato metano o anidride carbonica, anch’essi radioattivi (perché formati a partire dagli atomi di carbonio usato come tracciante).
L’esperimento ebbe esito positivo, come ha recentemente raccontato Miller a National Geographic : ” Nel momento in cui i nutrienti sono stati mescolati ai campioni di suolo, si sono sviluppate circa 10mila molecole radioattive – una grande differenza rispetto ai 50-60 eventi dovuti alla radiazione del suolo naturale su Marte”. Purtroppo, le altre prove non portarono alle stesse conclusioni, pertanto la NASA non prese più in considerazione i dati di LR. Ovviamente, la decisione non passò sotto silenzio, ma scatenò un dibattito che si è protratto fino a oggi.
Nel nuovo studio, apparso su International Journal of Aeronautical and Space Sciences, Bianciardi, Levin e gli altri hanno applicato ai dati delle missioni Viking un modello matematico che permette di sapere se un evento si deve a un processo metabolico (quindi legato a una forma di vita) o a un processo chimico-fisico. I dati sembrano confermare che il rilascio di molecole radioattive registrato più di 30 anni fa potrebbe davvero essere stato causato dal risveglio di microorganismi.
Agipress