DIRETTORE RESPONSABILE FRANCESCO CARRASSI

17 Febbraio 2025

Sì alla “stanza dell’amore” in carcere

AGIPRESS – TERNI – Sesso in carcere. Via libera. Proprio qualche giorno fa, i tribunali di sorveglianza di Spoleto e Reggio Emilia hanno emesso due sentenze storiche che autorizzano i detenuti delle carceri di Terni e Parma a incontri intimi con i propri partner, senza la ‘supervisione’ della polizia penitenziaria. Decisioni che rappresentano un passo significativo verso il riconoscimento dei diritti affettivi e sessuali dei detenuti in Italia. La “stanza dell’amore” come forse sarebbe più corretto definirla, ha radici nella sentenza della Corte Costituzionale del gennaio 2024, che ha dichiarato illegittimo il divieto di affettività e sessualità nelle carceri. Una critica all’articolo 18 della legge sull’ordinamento penitenziario del 1975, che non prevedeva appunto la possibilità per i detenuti di avere colloqui coniugali o con partner stabili senza il controllo a vista degli agenti di custodia, a meno che non vi fossero ragioni di sicurezza o ordine pubblico. La Corte ha sottolineato in sostanza come tale mancanza rappresentasse una violazione dei diritti fondamentali della persona, evidenziando la necessità di creare spazi dedicati “all’intimità” all’interno degli istituti penitenziari per garantire la privacy durante questi incontri. Fino a oggi tuttavia non erano stati fatti passi concreti per attuare queste disposizioni. Poi, qualche giorno fa, la svolta con le decisioni assunte dai magistrati di sorveglianza di Spoleto e Reggio Emilia. Nel caso di Terni, nel carcere di Vocabolo Sabbione, un detenuto, recluso dal 2019 (per reati tra cui tentato omicidio e furto aggravato, con fine pena previsto per aprile 2026), aveva richiesto incontri intimi con la sua compagna. Dopo il rifiuto iniziale della direzione penitenziaria, il magistrato competente ha ordinato al carcere di permettere tali incontri riservati, riconoscendo che negare questo diritto avrebbe rappresentato una “violenza fisica e morale” sul detenuto, con possibili ripercussioni negative su eventuali progetti di genitorialità. Stessa (o quasi) fattispecie verificatasi nel penitenziario di Parma dove un detenuto di 44 anni (affiliato al clan dei Casalesi e recluso nel reparto di Alta Sicurezza per reati come estorsione aggravata dal metodo mafioso), aveva presentato una richiesta simile nel marzo 2024. Dopo quasi un anno, nei giorni scorsi, il magistrato di sorveglianza di Reggio Emilia ha emesso l’ordinanza che impone al carcere di predisporre, entro due mesi, uno spazio adeguato a garantire la privacy durante gli incontri del detenuto in questione con la moglie. Due sentenze che, se da un lato rappresentano un passo avanti nel riconoscimento dei diritti affettivi dei detenuti, dall’altro comportano comunque problematiche pratiche e organizzative. Per creare spazi idonei all’interno delle strutture penitenziarie servono infatti risorse e una programmazione atta a garantire sia la sicurezza che la privacy. Per questo serve un quadro normativo chiaro che definisca le modalità di attuazione di questi diritti, evitando ad esempio la discrezionalità nell’applicazione. Due, come detto, i mesi di tempo a disposizione per risolvere queste questioni e dare attuazione alle sentenze. (D.M.)

AGIPRESS

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