AGIPRESS – L’Istat conferma l’autunno freddo del commercio, che non viene ‘scaldato’ nemmeno dal Black Friday. Dopo il calo di ottobre, prosegue anche a novembre la riduzione delle vendite al dettaglio. Tra coda lunga dell’inflazione e l’incertezza, le famiglie continuano a rimanere prudenti e a soffrire sono soprattutto le piccole superfici per le quali, secondo le nostre stime, la riduzione del volume di vendite a novembre raggiunge il -2% rispetto allo stesso mese del 2023. Così l’Ufficio economico Confesercenti. La situazione del commercio appare complessivamente fragile: se il dato di settembre ci aveva illuso sull’avvio di una ripresa dei consumi, gli ultimi due mesi hanno confermato la tendenza opposta. Per novembre, in particolare, l’Istat segnala variazioni medie delle vendite in volume negative sia a livello congiunturale (-0,6%), sia tendenziale (-0,2%). Anche il dato acquisito per gli undici mesi dello scorso anno in volume è stabilmente negativo (-0,5%). Per gli esercizi su piccole superfici tutte le variazioni sono peggiorative: secondo le nostre stime, la perdita in volume per i negozi e le altre forme di piccolo commercio a novembre è vicina al -2% rispetto allo stesso mese dell’anno precedente. Negativo anche il bilancio dei primi undici mesi del 2024: calcoliamo infatti che il calo tendenziale in volume tra gennaio e novembre per le piccole superfici sia del -1,5%.
Dai dati sembrerebbe emergere anche un ‘mancato’ impatto del Black Friday che, come da noi previsto, non è stato un evento propizio per la distribuzione italiana – quella considerata da Istat – che non ha avvertito alcun effetto Black Friday. Rimane, comunque, un quadro generale di stallo della spesa delle famiglie, che nonostante il rallentamento dell’inflazione, ne soffrono ancora gli effetti, rimangono prudenti e operano acquisti selettivi e ponderati. Rimane, dunque, la necessità di dare una scossa positiva alla domanda interna: bisogna continuare sulla strada della riforma fiscale per liberare risorse. In particolare, servirebbe una detassazione generalizzata degli aumenti salariali che – dopo due anni di alta inflazione – permetterebbe di ridurre il rischio di drenaggio fiscale, soprattutto per i lavoratori che hanno ottenuto un aumento delle retribuzioni tale da passare ad un’aliquota IRPEF più pesante.
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