A me hanno insegnato che il giornalista deve essere, per quanto possibile, al di sopra delle parti. Raccontare i fatti senza prendere posizione. Oggi questa è una visione archeologica del giornalismo. Oggi se non prendi posizione e non partecipi a una causa non sei nessuno. Così si alimenta la contrapposizione ideologica e soprattutto si acuisce lo scontro, la faziosità, il tifo. E si (dis)educa l’opinione pubblica, mettendo gli uni contro gli altri in una gara a chi alza di più la voce. La campagna elettorale è sempre stata una zona franca, dove tutti fanno a chi la spara più grossa, i partiti e i candidati promettono cose che sanno di non poter mantenere eppure la gente fa finta di crederci. L’impreparazione e – bene che vada – l’improvvisazione regnano sovrane e chi si troverà a governare davvero non avrà gli strumenti per farlo. Non ho mai condiviso la candidatura politica di giornalisti che, secondo i vecchi maestri, dovrebbero garantire l’imparzialità, per quanto possibile. Impensabile poi, che dopo la parentesi nel Palazzo, tornino addirittura a svolgere la vecchia professione, concionando da tribune televisive o dalle colonne di un giornale, e dunque trasformando un intervento in un comizio. Quale affidabilità di giudizio potranno mai dare? Peggio ancora la candidatura di magistrati, che a maggior ragione dovrebbero difendere l’assoluta limpidezza, mai inquinata da simpatie o livori di parte. Ecco perché quando dovremo esprimere la preferenza alla prossime elezioni (amministrative ed Europee) sarebbe bene concedere un pensierino al buon senso prima di promuovere chi con troppa disinvoltura trasforma una professione di garanzia in una di parte. AGIPRESS
di MARCELLO MANCINI