AGIPRESS – In Italia, nell’anno scolastico 2023/2024, circa 200 mila insegnanti sono precari. In pratica, quasi la metà delle cattedre non ha docenti di ruolo. Eppure sono tanti i giovani interessati ad insegnare, come dimostrano le manifestazioni e le iniziative organizzate in molte città universitarie in cui gli studenti hanno espresso le loro preoccupazioni. Nel 2022 la riforma sul nuovo reclutamento docenti voluta dall’ex Ministro dell’Istruzione Bianchi è stata approvata dalla Camera e successivamente è stata confermata dal Ministro dell’Istruzione e del Merito, Giuseppe Valditara. Pienamente operativa dal 1° gennaio 2025, il decreto ha l’obiettivo di allinearsi agli obiettivi stabiliti dal PNRR, concentrandosi sulla strutturazione del percorso universitario destinato alla formazione iniziale dei docenti delle scuole secondarie di I e II grado.
Dal 2017 erano sufficienti 24 CFU (crediti formativi universitari) per ottenere l’abilitazione all’insegnamento mentre con questa riforma ne serviranno 60, parte di cui da acquisire tramite tirocinio non retribuito. Come per i “vecchi” 24 CFU, i 60 crediti rappresentano un requisito di accesso imprescindibile per il concorso ordinario. Chi sogna di salire in cattedra dovrà quindi superare esami che riguardano materie antropo-psico-pedagogiche, metodologie e tecnologie didattiche e linguistiche per un totale di 60 CFU. L’iter per il raggiungimento di questi crediti ulteriori può essere parte integrante del percorso di laurea, a seconda della flessibilità del proprio piano di studi, oppure può essere intrapreso successivamente. Ai 60 CFU si aggiunge poi una prova finale, da pagare, composta da una prova scritta e una lezione simulata. Alla fine si otterrà un’abilitazione che porterà alla possibilità di svolgere un concorso dopo il quale, se superato, svolgere un ulteriore anno di prova.
“Tutto questo comporta, al termine del percorso di Laurea, un allungamento dei tempi per l’accesso all’insegnamento – commentano con un comunicato stampa i rappresentanti al Consiglio Nazionale degli Studenti Universitari con la lista Primavera degli Studenti – ma anche un ulteriore costo notevole per le studentesse e gli studenti universitari, non avendo integrato all’interno dei decreti attuativi una differenza in base ai requisiti ISEE”.
Una riforma che, secondo molti studenti e studentesse, non favorisce l’accesso al mondo dell’insegnamento ma anzi, lo impedisce ancora di più a chi appartiene alle classi reddituali medio-basse. Non sono state ancora fornite informazioni circa il prezzo dell’intero percorso ma l’unica cosa certa è che il decreto fissa i costi massimi che devono essere esplicitamente a carico dei partecipanti. Duemila euro per chi è iscritto regolarmente alle Università e istituzioni AFAM che erogano tali percorsi e duemilacinquecento per chi non è regolarmente iscritto. Viene poi stabilito un costo massimo per partecipare alla prova finale equivalente a 150 euro. Massimali soggetti ad un aggiornamento ogni tre anni.
Un’altra criticità è legata al tirocinio, diretto e indiretto, previsto dal testo di legge. “Non essendo retribuito – continuano i rappresentanti – costituisce un grave incombente sulla vita degli aspiranti insegnanti, talvolta già avviati al mondo del lavoro, anche scolastico, magari con contratti a tempo determinato ottenuti tramite graduatorie provinciali di supplenza o messe a disposizione.” Gli studenti si sono mobilitati, da Torino a Catanzaro, al grido di “vogliamo insegnare”, affermando che la Riforma Bianchi “ha contribuito, ancora di più e, in maniera definitiva, a trasformare la possibilità di accedere all’insegnamento in un lusso”.
(Lucrezia Ceccarelli)
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