Il commento di Giovanni Pallanti.
AGIPRESS – La morte di Giorgio Napolitano, a 98 anni, ha suscitato una vasta eco nella politica italiana e internazionale. Con lui muore un modo di fare politica legato alle ideologie o agli ideali che hanno caratterizzato gran parte della storia del Novecento. Nato nel 1925, napoletano, nel 1945 aderଠal Partito comunista, al seguito di Giorgio Amendola e di Gerardo Chiaromonte. Figlio di un avvocato liberale, apparteneva alla borghesia colta partenopea, di cui non ha mai dimenticato ne’ le passioni culturali – da giovanissimo esordi come critico cinematografico e teatrale sui giornali della sua città – ne’ lo stile di vita. Aveva una somiglianza fisica straordinaria con Umberto di Savoia, per questa ragione nacque la leggenda di una “parentela” fra il “Re di Maggio” e il futuro presidente della Repubblica. Eletto deputato nel 1953 per il Pci, nel 1956, quando l’Unione sovietica invase l’Ungheria in rivolta contro il regime comunista, si schierò con Togliatti, Ingrao e altri giovani leader della sua parte politica, a favore dell’Urss e contro la rivolta del popolo ungherese. Un marchio indelebile di complicità politica e morale con la dittatura sovietica, che Napolitano cercherà di farsi perdonare quando diventò un uomo delle istituzioni come presidente della Camera, ministro degli Interno, e poi per due volte presidente del,a Repubblica. L’abilità di Napolitano è consistita nel passaggio personale e intellettuale, da “servo di Mosca” ad una concezione democratica e liberale del socialismo, accompagnato da un forte e motivato Europeismo, per molto tempo avversato dai comunisti italiani. Un percorso molto difficile, in cui ha dimostrato la sua abilità e anche la sua scaltrezza, che nel secolo Ventesimo ha avuto pochi epigoni. Per queste ragioni Napolitano si può considerare un caso unico nella storia dei comunisti dell’Europa occidentale. AGIPRESS
di Giovanni Pallanti