AGIPRESS – Le quote rosa si vanno diffondendo nel mondo, anche se la strada della parità di genere tra gestione, proprietà e rappresentanza dei cda è ancora lunga. Lo sanno bene le donne italiane che, stando a vedere l’annuale report “Global Gender Gap Index”, risultano al 63esimo posto. Ma non si tratta, di certo, dei soli ruoli apicali in azienda. A guardare i dati, numeri alla mano, gli ottimismi e le speranze calano subito guardando la rappresentanza femminile nel mondo dell’economia, della politica e dei ruoli di vertice. I ranking tengono conto della rappresentanza femminile delle donne sia in parlamento che all’interno del Governo e questi dati considerano anche l’arco temporale. Negli ultimi 50 anni, in Italia, infatti un capo di governo donna lo abbiamo solo da settembre 2022. Andando ancora di più nello specifico, nella classifica del 2022 l’Italia si colloca al 63esimo posto su 146 Paesi monitorati, registrando un miglioramento di solo 0,001 punti (il punteggio complessivo raggiunge il valore 0,720 da 0,721 dell’anno precedente). L’Italia continua ad occupare la stessa posizione del 2021, dopo Uganda (61esima) e Zambia (62esima). A livello di Europa l’Italia è 25esima su 35 Paesi. Il confronto con alcuni benchmark europei mette in evidenza il ritardo dell’Italia nella riduzione del gap di genere: infatti, Spagna e Francia risultano rispettivamente 17esima e 15esima, mentre la Germania occupa addirittura la decima posizione a livello mondiale.
I dati del Global Gender Gap del World Economic Forum 2023, rivelano che negli ultimi 8 anni il tasso di assunzione di donne nei ruoli di leadership è aumentato lentamente, con un tasso di circa l’1% annuo a livello globale. In termini di settori, dal 2016 alla metà del 2022, la rappresentanza femminile nei ruoli dirigenziali è, infatti, cresciuta in diverse industrie. Tuttavia, nel primo trimestre di quest’anno, la percentuale di donne che ricoprono ruoli dirigenziali è scesa al 32%, tornando ai livelli registrati durante la pandemia del 2020. Ad erodere i timidi passi avanti compiuti in questa direzione è stato il generale rallentamento del mercato del lavoro durante gli ultimi due anni che, ancora una volta, ha colpito maggiormente le donne. Se invece si prende in considerazione la partecipazione ma anche le opportunità economiche si vede subito che le donne islandesi (e più in generale dei paesi scandinavi) sono al primo posto per ruoli di vertice e nei board. In politica, invece, la Finlandia ha il primato quanto a numero di donne elette ai vertici del governo (ben 4 primi ministri), mentre l’Australia ha il maggior numero di leader donna nel mondo con una quota del 56,6% del senato.
A livello mondiale serviranno ancora 132 anni per colmare il gap di genere: anche se si tratta di 4 anni in meno rispetto ai 136 stimati nel ranking 2021, l’obiettivo virtuoso è ancora lontano. Alcune aree nel mondo, come quella europea e nord americana, presentano una situazione migliore: per l’Europa il gap potrebbe essere colmato fra 60 anni (59 anni per il nord America). È dunque arrivato il momento che le aziende cambino passo, concretamente, rispetto al tema del gender gap senza considerare che la diversità si traduce in utilità e vantaggio economico. Le aziende con almeno tre dirigenti donne hanno infatti un aumento mediano del ROE superiore di 11 punti percentuali in cinque anni rispetto a quello delle aziende senza dirigenti donne. E le aziende con almeno il 30% dei dirigenti donne hanno un aumento del 15% della redditività rispetto a quelle senza dirigenti donne. Basta una sola donna in più nella leadership per aumentare il rendimento di una azienda da 8 a 13 punti base. AGIPRESS
Francesca Franceschi – Stradenuove